Il 12 ottobre del 1492 il mondo entrava ufficialmente nella cosiddetta Età Moderna. Quel giorno un navigatore genovese, Cristoforo Colombo, salpato tre mesi prima dal porto di Palo, nell'odierno Portogallo, con tre caravelle, la Ninã, la Pinta e la Santa Maria, con la benedizione dei sovrani di Spagna, toccava, primo europeo, il continente americano. Quel primo lembo di terra era l'isola di Guanahaní, così chiamata dagli indigeni e ribattezzata poi dal suo scopritore San Salvador. Tutti sappiamo che Colombo era convinto di aver raggiunto le Indie, come allora si definiva l'Asia, e non di aver scoperto addirittura un nuovo continente, pur tuttavia, da quel giorno il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Questa, in estrema sintesi, la storia che abbiamo imparato fin dalle elementari, almeno in Italia e nella storiografia ufficiale, ma le cose non stanno così in altre parti del mondo. Numerosi storici affermano, da qualche tempo, che il navigatore genovese non fu il primo a mettere piede sul suolo americano anzi, come vedremo, furono tantissimi gli aspiranti a questo primato. Tra i più probabili scopritori delle Nuove Terre, molti indizi portano ai vichinghi. Dai racconti, trasmessi oralmente attraverso le numerose saghe scandinave arrivate sino a noi, apprendiamo che prima del fatidico 1492, l'Atlantico era già stato solcato da questi uomini coraggiosi, che non temevano certamente l'ignoto a bordo delle loro navi, le velocissime drakkar.

I Vichinghi
Intorno all'anno 900, un navigatore, Gunnbjørns Ulfsson, durante una circumnavigazione dell'Islanda, già colonia vichinga, fu spinto da venti assai violenti verso ovest, portando inevitabilmente la nave sempre più a largo. Fu allora che intravide per la prima volta un gruppo grandi isole sconosciute che si stagliavano all'orizzonte del mare; purtroppo, a causa di una tempesta, non poté approdarvi per esplorarle, però, da buon marinaio, diede subito il proprio nome a queste terre appena scoperte chiamandole, ovviamente, Rocce di Gunnbjørns. Era l'inizio dei viaggi nel nuovo continente. Tornato in patria, la notizia non poteva rimanere troppo segreta. Ben presto, infatti, il navigatore ebbe degli emuli, anche involontari, come il giovane Bjarni, per citare un esempio. Narra la leggenda che partì dai fiordi norvegesi per l'Islanda con la speranza di rivedere, dopo tanto tempo, i genitori, ma arrivato, scoprì che questi ultimi, nel frattempo, si erano imbarcati con il celebre Erik il Rosso alla volta della Groenlandia. Il giovane navigatore non si scoraggiò, riprese il suo equipaggio e partì alla volta della grande isola, ma il destino aveva altro in serbo. In quell'estate del 986, Bjarni, non aveva certo né mappa né bussola, così furono sufficienti dei venti contrari per trovarsi com'era già capitato a Gunnbjørns Ulfsson, in mare aperto e alla deriva.

La fortuna però era dalla sua. Dopo alcuni giorni di navigazione incerta, intravide, chiaramente la sagoma di una terra che non era certamente la Groenlandia, ricoperta da una fitta foresta e alte montagne, probabilmente erano le coste di Terranova o del Labrador. La terra sembrava ospitale ma Bjarni era impaziente di raggiungere la Groenlandia per rivedere i suoi genitori e non volle attardarsi a esplorare le nuove terre. Un'altra occasione mancata nella storia delle esplorazioni! Quando finalmente raggiunse la Groenlandia e rivide i suoi, da buon marinaio raccontò la sua avventura, ma nessuno sembrò dargli molto credito e la storia delle "terre lontane" sarebbe finita lì se, qualche tempo dopo, intorno all'anno 1000, Leifr, figlio di Erik il Rosso, volle ripercorrere, in senso opposto, l'itinerario raccontato da Bjarni. Accompagnato da 35 uomini, ritrovò i luoghi descritti dal suo predecessore, ma con delle novità. La prima terra avvistata era occupata da "grandi ghiacciai" che, per la sua configurazione, battezzò Helluland, Terra della Pietra Piatta, proseguendo la rotta incontrò lunghe distese di sabbie bianche fino a giungere a un territorio ricoperto di foreste, che denominò Markland, Paese delle Foreste, forse l'odierno Labrador. Raggiunse, infine, la foce di un fiume che risalì, non senza fatica, giungendo a una laguna, dove finalmente gettò l'ancora. Con l'avvicinarsi dell'inverno, Leifr fece costruire alcune baracche in cui trascorrere la dura stagione ormai prossima: sorse così il villaggio Leifsbudhir, Capanna di Leifr. Poiché la regione era rigogliosa di vigne, Leifr le diede il nome di Vinland, Paese del Vino. Finalmente, dopo alcuni anni tornò in Groenlandia, carico di legname e di vino.

Ormai la strada delle esplorazioni era finita e cominciava quella dei commerci. Abbiamo citato solo tre casi, ma in realtà, furono numerosi i vichinghi che, seguendo le saghe e altre testimonianze di altri marinai, si alternarono tra la Groenlandia e l'Islanda costeggiando le odierne coste canadesi visitando probabilmente la Terra di Baffin, il Labrador e anche se di difficile descrizione, le attuali Nuova Inghilterra, Nuova Scozia e le fasce costiere della baia del Saint-Laurent. Comunque, di là dalle saghe, il riscontro della presenza vichinga in America l'ha dato, forse per sempre, la moderna archeologia.

Circa cinquant'anni fa, agli inizi degli anni Sessanta, a nord dell'odierna Terranova furono riportate alla luce tracce di grandi case di tipo scandinavo, ma non solo, esplorando l'intera regione furono trovate le fondamenta in pietra con strutture contadine tra cui i resti di un forno da fabbro con residui di carbone e addirittura un pezzetto di rame. Questi reperti furono esposti al Carbonio 14 con un risultato sorprendente: erano datati intorno all'anno mille, proprio come i racconti delle famose saghe. Non solo, cinque anni prima, sulle coste dello Stato del Mine, negli Usa, era stata trovata per caso una moneta vichinga autentica che lasciava presagire come questo popolo avesse navigato ancora più a sud, lungo le coste del nord Atlantico. Certamente era un indizio, ma non una prova certa, l'origine di quella presenza poteva avere molte giustificazioni. Comunque in quegli anni le scoperte archeologiche cominciavano ad avere un'importanza notevole, specialmente se si cercava il sensazionalismo.

Altre prove di una presenza vichinga, ne citiamo ovviamente solo le più curiose, arrivarono anche dal Messico e addirittura dall'Amazzonia. Propugnatore di queste teorie fu, tra i tanti, il francese Jacques de Mahieu. Non era un archeologo, ma laureato in filosofia e in scienze economiche, e con grandi intuizioni di carattere antropologico. Nell'anno 967 della nostra era, affermava de Mahieu, erano sbarcati circa 700 vichinghi tra uomini e donne sulle coste del Messico. L'incontro tra le due culture portò a cambiamenti rivoluzionari tra cui quelli religiosi. Nacque, infatti, la "mitologia solare", con il dio Quetzalcoatl, dall'aspetto di un bianco con una folta barba, sconosciuta alle popolazioni messicane del tempo, simili per fattezze a un vichingo. A questa divinità era legata anche una profezia: il suo ritorno avrebbe cambiato la vita dei Maya, infatti, stando alle coincidenze della storia, lo sbarco dei primi bianchi fu anche la fine di questo civilissimo popolo.

Non solo la religione di questi popoli era stata segnata da questi uomini bianchi, ma anche l'organizzazione sociale, i valori morali, le conoscenze scientifiche e tecniche, per non citare gli innumerevoli termini danesi, tedeschi e anglo-sassoni ancora usati dagli Indiani all'inizio del secolo scorso, almeno secondo le affermazioni del ricercatore francese, e tutto questo secoli prima di Colombo. Solo i vichinghi erano stati tra primi conquistatori? No di certo.

Gli altri esploratori
Possiamo citare i celti, gli ebrei, i fenici e, come vedremo, gli irlandesi, almeno dal versante Atlantico, mentre dalla parte del Pacifico abbiamo segnalazioni di navigatori cinesi e addirittura polinesiani. Ma non solo, per dovere di cronaca è sempre più ricca di prove la tesi degli Ufo, ma questa è tutta un'altra storia. Rimanendo sulla terra, tra i vari sedicenti conquistatori del Nuovo Mondo, non potevano mancare i misteriosi Templari.
Ancora una volta il de Mahieu illustra la teoria della loro fuga dopo la persecuzione del re di Francia e del papa. Dove potevano fuggire se non in America? Secondo alcune testimonianza essi salparono dal porto de La Rochelle che in apparenza non portava da nessuna parte se non verso l'Atlantico attraverso una rotta conosciuta da qualche tempo. Infatti, da dove venivano, l'oro e l'argento con cui l'Ordine del Tempio inondò l'Europa del XII e XIII secolo? Lasciamo al lettore ogni commento.

In attesa di altri riscontri, meritano attenzione le prove nautiche fatte agli inizi degli anni '60. Esploratori come Heyerdhal o Ragnar Thorseth dimostrarono, al di là da ogni dubbio, com'era stato possibile per i vichinghi giungere con le loro imbarcazioni sulle coste del Nord America. Non solo. Questo tipo di verifica nautica dimostrò, come abbiamo già segnalato, che anche gli irlandesi, erano giunti in America prima di Colombo. Questa teoria fu dimostrata da un altro navigatore, Tim Severin, che solcando l'Atlantico a bordo della ricostruzione di antiche imbarcazioni irlandesi, costituite da pelli cucite su una struttura di legno, documentò la fattibilità dell'impresa. Sempre per quanto riguarda gli irlandesi, ricordiamo un altro esploratore, Louis Kevran che tentò di provare come San Brandano, il famoso "monaco-navigatore" medievale, avesse realmente raggiunto l'America, anche se in realtà il monaco era alla ricerca del Paradiso... L'unica considerazione che possiamo fare in merito a queste esperienze nautiche, senza nulla togliere alle loro capacità, è che questi esploratori sapevano dove andavano, a differenza degli antichi e non è una cosa da poco, specialmente se si naviga in mare aperto e senza una guida certa.

Anche i Romani in America
Alla fine di questa carrellata di possibili esploratori del Nuovo Mondo abbiamo lasciato per ultimo una tesi che da italiani non può che inorgoglirci - premesso sempre che tutto sia vero - apprendiamo che anche gli antichi Romani avevano visitato il nuovo continente. Una tesi avanzata, tra l'altro, alcuni anni fa dal giornalista Elio Cadelo nel libro Quando i romani andavano in America. In passato autori come Plinio, Cicerone, Plutarco, Lucrezio, Tolomeo, Seneca, Diodoro Siculo, e molti altri, avevano affermato in maniera chiara che gli antichi Romani, come i Greci, gli Indiani e i Babilonesi, sapevano esattamente che il mondo era una sfera fluttuante nell’immenso universo. E tutti, ben prima di Aristotele erano certi che l’India era raggiungibile navigando verso occidente, teorizzando, come gli scienziati Greci, che doveva esserci un continente che divideva l’oceano in due tra l’India e l’Europa. A fronte di queste teorie degli antichi tra le prove che dimostrerebbero questa presenza romana, c'è il ritrovamento di monete romane in molti siti americani, la statua del III secolo di un togato con in mano addirittura un ananas, frutto raffigurato anche a Pompei e ancora a Roma, infine i resti di una nave dalla struttura romana sulle coste texane.

Ci sono anche brani della letteratura del ‘500, citati nel libro, in cui si racconta del ritrovamento, descritto puntualmente, di tombe romane in America, oppure della presenza del mais ben prima che Colombo lo facesse giungere in Europa, addirittura Plinio scrive che era coltivato intensivamente nella pianura Padana. C’è ancora la prova fondamentale del planisfero di Claudio Tolomeo, periodo alessandrino, nel quale è rappresentata la costa del Sud America e anche la città di Cattigara - tradotta "porto dei cinesi" - dove si importava l’oro da tutto l’Oriente ed è proprio Tolomeo a indicarci la rotta per giungere in America da quella parte. Tornando ai Romani, erano convinti però, come Cristoforo Colombo tanti secoli dopo, che fossero le coste orientali dell’India. Ricordiamo che proprio qui avevano un porto commerciale, Arikamedu, dove, già in età Imperiale, ormeggiavano oltre 150 navi mercantili per gli scambi commerciali, specialmente le spezie. Ma come potevano arrivare a solcare un oceano, così pericoloso come quello Atlantico?

I Romani avevano anche navi foderate di piombo per evitare il pericolo dei molluschi che divoravano il legname dimostrando che si trattava d'imbarcazioni destinate a rimanere in mare lungo tempo offrendo una certa affidabilità ai marinai del tempo. Ci sarebbe ancora molto da scrivere su questo argomento, tra ritrovamenti archeologici, testi antichi, testimonianze di vario genere, ma vogliamo concludere con una frase riportata da Cadelo attribuita a all’Imperatore Giuliano l'apostata :“l’Oceano Atlantico è più grande del Mar Mediteranno, ma al pari di esso è stato completamente esplorato ed è sotto il dominio di Roma”.

Ma i veri scopritori dell'America sono in realtà molto più antichi, parliamo semplicemente dei primi migranti che hanno popolato il continente americano. Alla fine degli anni Ottanta, gli esperti erano certi di un popolamento iniziale di origine mongoloide risalente a 12.000 anni prima di Cristo, ma scoperte successive di Niède Guidon e Georgette Delibrias in Brasile dimostravano che i primi scopritori dell'America erano sicuramente più antichi. Si stimava che fossero giunte dall'Asia, addirittura al tempo della glaciazione del Wurm, ben 40.000 persone attraversando a piedi lo stretto di Behring. Altre ricerche dimostrerebbero che la datazione si è allontanata nel tempo, fino ad arrivare a oltre 70.000 anni. In pratica si può dire, quasi con certezza, che il primo vero esploratore precedente al viaggio di Colombo nel continente americano fu l'uomo di Neanderthal.