Un tentativo di ritrovare una fusione totale tra Natura e Architettura fu sperimentato da Frank Lloyd Wright con la famosa “Casa sulla cascata” nel 1936/39, in nome di quella che chiamava “Architettura organica”.

Le mutazioni socio-culturali e la crescita demografica hanno costretto a ripensare lo spazio architettonico anche rispetto al “verde”, non più solo orizzontale, bensì reinterpretato in quello che oggi si definisce “verde verticale”, secondo le esigenze della cosiddetta “architettura sostenibile” (o bioedilizia). Non più solo giardini pensili, in cima a palazzi ad uso esclusivo (anche visivo) di pochi fortunati proprietari di terrazze, bensì verde “in parete”, che soddisfi aspetti decorativi e allo stesso tempo funzionali. Dopo anni di sfruttamento delle risorse naturali del pianeta, una coscienza sociale ed ecologista ha inevitabilmente trasformato l’approccio degli architetti nell’utilizzo di nuovi materiali, creando strutture a impatto zero e autosufficienti nello sfruttamento e produzione delle risorse energico-ambientali. Ripensando anche nuovi modelli culturali del buon-vivere. Allo stesso modo, Walter Trecchi ha sentito il bisogno di interpretare in pittura quella che è diventata un’esigenza comune: tornare a fondere natura e architettura, unendo le sue visioni con il reale. Nascono così le nuove opere dal titolo significativo: “Archi_Nature”.

Il titolo è tratto dall’omonima opera video del regista Francesco Fei, che accompagna le opere di Trecchi. Insieme, hanno pensato di unire le loro due visioni: l’uno ispirandosi alla vegetazione e agli alberi, in un paragone tra architettura naturale e architettura umana, trovando similitudini nelle altezze e geometrie che già esistono nella perfezione del mondo vegetale (che già ispirarono Gaudì), in un continuo specchio riflesso tra macrocosmo e microcosmo. Fei invece fonde immagini di montagne e caverne/casa scavate nei monti turchi con le riprese di grattacieli asiatici, in uno scambio tra naturale e artificiale, tra roccia e cemento che si compenetrano e completano, rimandando in continuo immagini ancestrali e contemporanee che sovrappongono e uniscono il concetto di casa. Quello di Walter Trecchi è un tema quanto mai vivo ”…è la cronaca di un bisogno attuale e reale” dice Matteo Fantoni, architetto titolare dello studio omonimo che ospita la mostra, il quale ha lavorato per 18 anni con Norman Foster e conosce molto bene e persegue il tema dell’eco-sostenibilità da molti anni. Inoltre, lo Studio Matteo Fantoni si trova proprio sotto il nuovo centro direzionale/civile di Porta Garibaldi-Porta Nuova, simbolo del rinnovamento e stravolgimento più radicale dello skyline di Milano degli ultimi 50 anni. Splendido mostro che svetta curvilineo e possente fino alla punta estrema della sua guglia moderna, simile ad un’astronave atterrata nel cuore della City, il nuovo complesso stravolge con la sua possenza di vetro e cemento le tranquille case attorno, che sembrano appartenere ad un tempo lontano, antico, schiacciate come sono dall’ombra del moderno colosso d’acciaio. Trecchi volge il suo sguardo d’artista (da sempre attratto dai cantieri, anima delle città in evoluzione) verso questa nuova “città nella città”, dipinta da quando era ancora cantiere fino ad immaginarla, nelle opere più recenti, come fusione totale tra vegetazione e architettura, dando vita ad una sua nuova archi_natura.

Ai primi del XX sec. le nuove invenzioni tecnologiche preannunciavano un futuro glorioso. I grattacieli sempre più alti, le navi sempre più grandi (fino al Titanic), rappresentavano la vanità di un illusorio progresso senza limiti. Con il Titanic, affondato 100 anni fa esatti, affondarono con la nave l’illusoria fiducia nelle possibilità illimitate dell’uomo. Finì un’epoca, un modo di vivere e sentire: la Belle Epoque. Oggi, di nuovo, l’uomo sfida le leggi gravitazionali con grattacieli sempre più alti, dalle forme sempre più azzardate che piegano i materiali alle loro fantasie di scultori visionari, in altezze vertiginose che ricordano le arroganze babeliche (a Dubai, il Burj è il grattacielo oggi più alto al mondo con i suoi 828 m di altezza!). Oggi c’è la necessità di riportare tutto alla dimensione umana. Bisogna riportare al centro dell’attenzione l’Uomo: il concetto di Agorà. Bisogna riportare ad un senso di responsabilità e consapevolezza chi è chiamato a costruire e cambiare il volto delle città: l’Architetto. Colui che detiene da sempre il segreto sommo della costruzione delle cattedrali, senza dimenticare il rapporto fondamentale tra l’uomo e l’ambiente in cui si inserisce. Bisogna ripensare un nuovo rapporto di equilibrio tra naturale e artificiale, che si compenetri al punto da fonderli in una soluzione unica, per far alzare la testa al cielo,con i piedi per terra e ammirare queste nuove cattedrali di ferro, verde e cemento, laicamente sacrali.

Testo e Mostra a cura di Claudio Composti, Mc2 Gallery, Milano.

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