La seconda personale di Ariel Orozco a Roma consiste in una riflessione essenziale e dinamica su alcune delle contraddizioni, anomalie e paradossi che caratterizzano la nostra esistenza quotidiana e la nostra realtà neoliberale. Confondendo i binari della abbondanza con quelli della scarsità, così come quelli della supremazia con quelli dell’impotenza, la mostra trasmette un senso di suspense proprio della precarietà, suscitando un effetto al contempo comico e inquietante. 

Questioni di fragilità, di un lusso decaduto e di un’antica abbondanza, sono affrontate ironicamente in Untitled, una scatola di cioccolata i cui cioccolatini sono totalmente stati consumati, così come in Untitled, una bottiglia di champagne dal vetro così pieno di crepe che sarebbe davvero incauto usarla. Paradossi su carenza e abbondanza assumono un ulteriore significato in Untitled (Sed). L’opera consiste in un’installazione di grandi dimensioni composta da mille bicchieri di vetro colmi di sabbia e disposti sul pavimento della prima stanza a comporre tante pozzanghere. In questo caso, la totale assenza di acqua è controbilanciata dall’abbondanza di qualcos’altro, inutile ma attraente: la sabbia.

Allo stesso modo, la vicina Untitled (Problema) complica e semplifica le cose. Questa installazione è infatti composta da una sessantina di pilette di scarico di varie dimensioni montate nel pavimento di una stanza con un unico tappo che dovrebbe fermare ogni potenziale perdita. Il centro del lavoro è la vanità della soluzione offerta al problema, il quale se dovesse manifestarsi rimarrebbe irrisolto e sarebbe allarmante; ad ogni modo, data l’apparente carenza di acqua non abbiamo nulla di cui preoccuparci (oppure dovremmo?). Una vicina palla da spiaggia, colma d’acqua di mare, rischia di sconvolgere questo strano equilibrio ma, a causa della piccola parte di vastità che essa contiene, quest’oggetto ci lascia così perplessi che qualsiasi minaccia sollevi sembra virtualmente dissolversi nel suo enigma. 

Fortunatamente e sfortunatamente non siamo estranei a una logica così straordinariamente sbagliata. Nell’attuale contesto di perpetua crisi manageriale, tali metodi accidentali, ed inevitabilmente incerti, di risoluzione dei problemi, risultano infatti di un’inquietante familiarità. Il potenziale rischio che accompagna questi metodi può essere esperito, almeno in parte, in Untitled, l’installazione con cui la mostra si chiude. L’opera è composta da un fascio di luce che illumina un singolo fuoco artificiale disposto suo pavimento; questa associazione semi-tautologica sembra essere di cattivo auspicio inducendo lo spettatore a non indugiare troppo ma ad andarsene immediatamente. Tenendo a mente tutto questo, l’installazione di piccole dimensioni, Gris, collocata nell’ufficio della galleria, già incisiva introduzione, propone ora una conclusione adeguata a una mostra da vedere “in punta di piedi”.

Questo intervento consiste in una matita di colore grigio disposta verticalmente in equilibrio su se stessa sull’angolo estremo di una scrivania. Il piccolo miracolo messo in scena da quest’oggetto simbolicamente interstiziale (“area grigia”), diventa qui particolarmente significativo, dichiarandosi come una metafora del virtuosismo necessario per negoziare la crescente precarietà della vita quotidiana contemporanea. 

Federica Schiavo Gallery
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