“La mia ambizione è di aiutare gli uomini a vedere quello che i loro occhi non percepiscono: la prospettiva dello spazio nel quale nascono le loro opinioni e azioni.” Giuseppe Capogrossi

Con Capogrossi. Una retrospettiva, a cura di Luca Massimo Barbero, la Collezione Peggy Guggenheim rende omaggio a uno dei protagonisti assoluti della scena artistica del secondo dopoguerra, presente nelle collezioni della Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York fin dal 1958 con l’acquisizione della tela Superficie 210 (1957). Il segno inconfondibile di Giuseppe Capogrossi, così come il gesto di Lucio Fontana e la materia di Alberto Burri, hanno lasciato una traccia indelebile nella storia dell’arte del XX secolo, incarnando la ricerca avanguardistica internazionale del secondo Novecento.

Realizzata in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi, Roma, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l’attesa antologica ricostruisce l’iter artistico di Giuseppe Capogrossi (1900 – 1972), con oltre settanta opere, tra dipinti e lavori su carta, rintracciate dopo lunghe ricerche in collezioni private e importanti musei, tra cui il Centre Georges Pompidou di Parigi, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, da cui proviene un significativo nucleo di opere, il Mart di Rovereto, la Galleria d’Arte Moderna di Torino, oltre al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Proporre oggi l’intero percorso di Capogrossi significa riscoprire uno dei più originali interpreti dell’arte visiva italiana, subito acclamato a livello internazionale già alla nascita del suo personalissimo segno.

L’esposizione riunisce la produzione dell’artista a partire dai suoi capolavori figurativi degli anni ’30, con tele come I canottieri (1933), Il temporale (1933), La piena sul Tevere (1933) e L’Annunciazione (1933), il grande quadro, oggi conservato al Centre Pompidou, che ritorna per la prima volta in Italia, dopo essere stato esposto a Parigi nel 1933 e in quella occasione donato dal governo italiano al museo Jeu de Paume, per essere successivamente acquisito dalle collezioni statali francesi. Proprio nel 1933 Capogrossi partecipa, insieme a Corrado Cagli ed Emanuele Cavalli, alla stesura de il "Manifesto del primordialismo plastico", in cui si discute sulla presenza dell’elemento arcaico nel mondo contemporaneo, e sul come esprimere tale concetto nelle proprie opere. Investiti da un’atmosfera mistica e atemporale, questi primi lavori dell’artista romano, contraddistinti da un’intensa pittura tonale e da figure e ambienti sospesi nella luce, sorprenderanno il pubblico lasciando sottilmente intravedere la nascita di quella famosa e immediatamente riconoscibile cifra segnica che ha reso celebre l’artista.

In mostra alcune rarissime prove pittoriche, esposte per la prima volta in questa occasione, rivelatrici di quel passaggio che tende alla sintesi delle forme, alla presenza di segni, lettere, numeri, fino ad arrivare al simbolo archetipo e originario. Sono lavori identificabili con la serie di Studi per finestre, del 1948-’49, che svela un’importante fase di tale passaggio, e con il dipinto Le due chitarre (1948), proveniente dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, opera chiave della transizione tra figura e nuova astrazione. Appartengono a questo periodo anche alcuni lavori realizzati durante il soggiorno viennese del 1949, come Superficie 011 e Superficie 016, carichi di echi simbolisti, che iniziano a portare le prime numerazioni e il titolo “superficie”, che connoteranno poi tutta la produzione di Capogrossi. Di forte interesse una selezione di opere in bianco e nero, tra cui Superficie 021 (1949) e Superficie 678 (Cartagine, 1950), esposte nel gennaio del 1950 alla Galleria del Secolo di Roma in occasione dell’esposizione che sancì la nascita del “caso Capogrossi”, ovvero l’esplosione di quel suo segno unico e inconfondibile: un elemento lunato dentato, articolato nello spazio talvolta in segmenti a catena, talvolta in macro-segni costituiti dal colore. Elementi così originali che lo porteranno a condividere con Burri, Colla e Ballocco, già dal 1950, l’intensa se pur breve esperienza del Gruppo Origine, dove si torna appunto a parlare di segno e natura “primordiali” contro il decorativismo dell’astratto.

La mostra Capogrossi. Una retrospettiva svela l’approfondita ricerca che già nel ‘51 rese l’artista noto alla critica internazionale grazie alla mostra parigina Véhémences Confrontées, che lo portò a esporre, unico italiano, con altri grandi maestri quali Franz Kline, Georges Mathieu, Jackson Pollock. In un incessante ritmo di tipologie segniche e scansioni cromatiche riunite eccezionalmente alla Collezione Peggy Guggenheim, con lavori che spaziano dalle tele presentate alla storica Biennale di Venezia del 1954, a opere come Superficie 28 (già Superficie 25), appartenuta al gallerista Leo Castelli ed esposta proprio in occasione della mostra personale dell’artista nella sua galleria newyorkese nel 1958. Il percorso approda infine ai grandi formati degli anni ’60, quali Superficie 399 (1961) e Superficie 449 (1962), per terminare con il monumentale ovale di 3 metri, Superficie 385 (1960), concepito per la turbonave Leonardo Da Vinci. Quest’ultima grande sale è anticipata da un momento particolarmente raro, una sezione dedicata ai rilievi e ai monocromi bianchi, opere come Superficie 633 (1968) e Superficie 689 (1970), quasi sconosciute al grande pubblico, che rivelano la costante necessità dell’artista di lavorare sulla tabula rasa e sul negativo-positivo.

Una retrospettiva unica e completa che, partendo dall’analisi del rigore del segno giunge alla grande orchestrazione del segno-colore, tracciando l’evoluzione della complessa vicenda pittorica dell’artista e di quel suo alfabeto, che, nelle sue più svariate interpretazioni, ha fatto identificare Capogrossi con il gusto di un’epoca, di un’Italia fiorente e ottimista, colta nel pieno del boom economico dei "meravigliosi" anni ’50 e ’60.

L’esposizione sarà accompagnata da un’esaustiva pubblicazione, un nuovo studio monografico a cura di Luca Massimo Barbero, edito da Marsilio Editori. Realizzato in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi, in doppia edizione italiana e inglese, il catalogo raccoglie undici saggi che riscostruiscono in modo attento e puntuale il percorso artistico di Capogrossi, dagli esordi figurativi alla grande celebrazione degli anni ‘50, le sue esposizioni, i rapporti con la critica nazionale e internazionale. Inedito un importante approfondimento sulla stagione espositiva americana, con una ricca selezione di documenti e opere provenienti dagli archivi dei più grandi musei d’oltreoceano, tra cui il Museum of Modern Art, il Brooklyn Museum of Art, il Solomon R. Guggenheim Museum, il San Francisco Museum of Modern Art, il Museum of Fine Arts di Houston, il Jewish Museum di New York.

Collezione Peggy Guggenheim
Palazzo Venier dei Leoni
Dorsoduro, 701
Venezia 30123 Italia
Tel. +39 041 2405 411
Fax +39 041 520 6885
www.guggenheim‐venice.it

Orario di apertura
10.00 – 18.00, chiuso il martedì e il 25 e 26 dicembre

Biglietteria on-line
www.teleart.org
Tel. +39 041 2405440/419

Come arrivare
da Piazzale Roma‐Ferrovia: linea diretta 2, direzione Lido, fermata Accademia (25 minuti circa); linea 1, direzione Lido, fermata Accademia (30 minuti circa) / Vaporetto dell’arte, fermata Accademia da Piazza S. Marco: linea 1, 2 direzione Piazzale Roma ‐ Ferrovia, fermata Accademia (5 minuti circa)