Nelle sculture e nei bassorilievi di Carlo Fontanella capita spesso che una fitta e ritmata trama di geroglifici scabri ed essenziali costruisca cerchi concentrici o spirali avvolgenti.

Si tratta di segni ripetuti che incidono la materia e suggeriscono un ritmo, scavano piccoli solchi che scandiscono la superficie e determinano così una sorta di rapporto serrato tra lo spazio e il tempo. Talvolta sono semplici graffi, altre volte piccoli tasselli rettangolari o triangoli, quadrati, forme geometriche reiterate come in un mandala. E come in un mandala la nostra immaginazione non può non pensare al gesto ripetuto dell’artista che quelle forme e quei labirinti ha generato: un gesto ripetuto come una danza ipnotica, come un mantra o come una preghiera.

Talvolta il gesto e il segno corrispettivo si fa più rarefatto, più lunghe si fanno le pause, i silenzi. Talvolta la voce, il segno pare affiorare come un relitto da un mare di silenzio: un piccolo solco di ombra nel bianco gessoso e abbacinante di un silenzio fatto di luce. Le sculture e i bassorilievi di Carlo Fontanella infatti sono quasi sempre bianchi: il bianco è imperante ed esalta ogni minimo scarto della materia, ogni minimo segno, graffio o solco, ogni minima asperità o piccolo rilievo.

Nel silenzio assoluto ogni lieve sussurro diviene presenza, voce o nota che risuona e significa. Il bianco di Fontanella acuisce i nostri sensi, ci consente… ci obbliga a mettere a fuoco, a concentrare i nostri sensi (la vista, il tatto) più del consueto.

Allo stesso modo la reiterazione di segni o forme ci induce a prestare maggiore attenzione ai minimi scarti, alle più impercettibili variazioni di lunghezza, di distanza o di forma tra un segno e l’altro. E nel ritmo e nella variazione si nasconde ad un tempo l’armonia e il significato.

Qualche volta il vuoto, il silenzio della materia bianca e levigata allude all’oblìo, e allora i segni più o meno rarefatti ci appaiono come relitti della memoria, reperti fatti riemergere alla luce della coscienza dalla mano paziente e sapiente di un archeologo. E allora i dischi o le steli di Fontanella ci ricordano lapidi istoriate da antiche perdute civiltà, tondi come oggetti votivi o totem su cui sacerdoti di culti arcani hanno inciso litanie mitiche o formule rituali.

E non parrà affatto casuale allora il ricorso ossessivo ed ammaliante (nel senso letterale del termine) a forme archetipiche come la spirale o il cerchio. Certo quello che vediamo è una serie di steli votive, lapidi, incisioni di un’antica civiltà che vi inscriveva le sue storie in un linguaggio di cui oggi è perduto il codice, la chiave di lettura, la Stele di Rosetta. E non ci resta che una rarefatta e abbacinante nostalgìa.

C’è poi, di tanto in tanto, in Fontanella, una raffinatezza e una leggerezza formale che si piega e ci induce al sorriso, scivolando verso una figurazione stilizzata ed elegante che trasforma dei libri aperti in uno stormo di uccelli (“Scripta volant”), giocando con le figure e con le parole dei titoli. Forse si tratta di un bisogno impellente di recuperare, di tanto in tanto, una significazione immediata e folgorante come una battuta di spirito, di far affiorare dal murmure enigmatico di arcane oscure formule magiche il guizzo di una parola chiara e limpida. E dal contrasto trarre forza ed evidenza espressiva: più chiaro e limpido appare il motto ironico accostato a oscure litanie sussurrate, e viceversa.

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Orari di apertura
Mercoledi - Sabato dalle 15.00 alle 19.00
Domenica dalle 11.00 alle 19.00

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