“Luciferase” è un enzima, o sostanza chimica presente naturalmente in alcuni organismi viventi, capace di trasformare l’energia in luce.

Insetti come le lucciole lo producono con sottili variazioni da individuo a individuo, sotto forma di impulsi luminosi e ritmici. Ma anche diversi altri organismi, quali una specie particolare di funghi ed alcuni esseri marini, presentano una particolare capacità di produrre luce fluorescente.

Tutto il lavoro di Dacia Manto fonda il proprio percorso attraverso differenti modi di percepire la luce, che si manifestano di volta in volta attraverso installazioni luminose, video e disegni.

Il disegno è il linguaggio per eccellenza da cui ha origine tutta la riflessione formale dell’artista, e così il nucleo di disegni in mostra consente di avvicinarsi alle altre opere esposte.

“il disegno – scrive l’artista – è uno spazio ai margini, abito di un territorio che si spalanca all’improvviso come una voragine, buco nero e indecifrabile, fatto di penombre e risguardi, bagliori e riflessi. E’ un luogo situato oltre la superficie dello specchio, oltre lo sguardo, ed è il solo in cui posso sentirmi libera. E’ lo spazio del creare, ricreare, ricostruire. Ecosistema fragile, luogo vago, selvatico, indomabile, vergine e continuamente attraversato, che sfugge alle definizioni , alle falciature, e preme sugli argini di un confine cancellato, ridisegnato”.

Bagliori e riflessi sono oggetto dello sguardo che indaga il paesaggio circostante anche nel video “Planiziaria”, girato alle estreme propaggini del delta del Po.

Mentre in Macondo (Nebulosa II, 2011) una visione aerea, una mappa ridisegnata diventa un disegno a terra. Ma quella che appare come l’immagine di una città viva e illuminata si rivela invece essere un territorio fantasma, una regione inesistente sulle carte geografiche, tangibile però nella realtà della sua immensa portata sull’economia e l’ecologia dell’intero pianeta. La costellazione artificiale di piattaforme petrolifere che ridisegna la superficie del Golfo del Messico è in effetti lontana dall’essere una mera parvenza, l’immensa città galleggiante sfrutta il suolo e le risorse naturali impoverendo e danneggiando il territorio sottomarino e le coste, concorrendo al pericolo della subsidenza geologica, in grado di provocare sismi e maremoti. Macondo è il nome della città immaginaria del romanzo di Garcia Marquez; fatalmente è anche il nome del pozzo esplorativo esploso nell’aprile 2010, che per mesi ha riversato in mare milioni di litri di petrolio, costituendosi come il più grave disastro ecologico statunitense della storia .

Accompagnano questo lavoro alcune piccole sculture realizzate con materiali sedimentari e residui derivati dall’estrazione del greggio, che “succhia” le rocce perforate in profondità svuotandole e lasciandole estremamente fragili e soggette ad un pericoloso mutamento geologico.

I lavori di Dacia Manto sono osservatori strutturali e poetici sul paesaggio e sul mondo naturale, muovendosi sul crinale sottile tra indagine scientifica e immersione sensoriale, attraverso i linguaggi del video, dell’installazione , del disegno e della performance.

L’artista ha esposto in numerose realtà museali italiane ed europee, tra cui il Museo di Saint Etienne, il Parco d’Arte Vivente di Torino, la Strozzina di Firenze, il Mart di Trento e Rovereto, il Pecci di Prato, il Mar di Ravenna, il MaGa di Gallarate, il Mac di Lissone, e in diversi spazi pubblici e gallerie private, tra cui Klerkx a Milano e Paolo Maria Deanesi a Rovereto.

Nel 2009 ha vinto l Premio GeniAli indetto da Alitalia per la giovane arte italiana, finalista al Premio Cairo e al Premio Agenore Fabbri, nel 2011 ha vinto il Premio Acea con il video “Planiziaria”, il Premio Aletti con il video “Asterina”, e, nel 2012 il Premio Arte Rugabella.

Attualmente sta lavorando ad un complesso progetto di arte pubblica per TusciaElecta nella regione toscana.

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