L’apparenza, si sa, inganna. E così questa mostra, che presenta due artisti più o meno della stessa generazione, che dipingono entrambi città e architetture, può sembrare nata da un’affinità ideale, da un accordo all’unisono.

Non è così. In realtà le due ricerche, al di là dei temi apparentemente convergenti e dell’amicizia stessa che esiste fra i due artisti, sono molto diverse.

Vediamole, dunque, più da vicino. Mi è capitato spesso di parlare d’arte con Aldo Damioli. Gli artisti che nomina nei suoi discorsi sono tanti, non solo moderni, ma quelli che ricorrono con più frequenza direi che sono Holbein, Bellotto, Hopper, De Chirico, Gnoli: maestri di uno stile preciso, di una forma compiuta e ferma, di una realtà talmente nitida da diventare irreale e di un’irrealtà talmente assoluta da sembrare normale. E’ questa la pittura che gli piace: concettuale ante litteram, senza effetti speciali, senza intemperanze emotive.

Il fatto è che, anche quando negli anni Ottanta dipingeva immagini non geometriche (come nel ciclo – più neosurreale che neopop - delle pizze, scoperte da quel grande rabdomante dell’arte che è Corrado Levi), gli amori e le cure di Damioli andavano verso una pittura ad alta definizione, costruita con un segreto controllo: controllo del linguaggio, ma anche dell’io. La sua è un’arte dove l’emozione nasce dalla mente, non dal sentimento.

Dopo quella stagione Damioli ha lavorato al suo ciclo più famoso: quelle Venezie-New York in cui, come in un gioco di specchi, Manhattan diventa la Serenissima e il passato si confonde col futuro. Quindi ha proseguito il suo viaggio intorno al mondo – che è poi un viaggio “autour de sa chambre”, cioè intorno al suo studio di pittore – trovando un accento nuovo per ogni città. Parigi, Shangai, Milano, Monza, come si vede anche in questa mostra, hanno ognuna un carattere diverso dalle altre. Non si tratta delle ovvie differenze che distinguono una città francese da una lombarda o orientale, ma di qualcosa di più mentale, come il sentimento per Parigi o la geometria primaria per Shangai. Damioli, insomma, è come un philosophe settecentesco che racconta l’enciclopedia del mondo individuando per ogni voce una definizione. Quella che solo la pittura può dare.

Anche Petrus ha incentrato il suo lavoro sul tema della città, andando alla ricerca non delle icone più note, magari turistiche o cartolinesche, ma dell’architettura moderna: un’architettura tanto più significativa, quanto meno compresa.

Ha preso le mosse dal “Novecento” milanese di Muzio, così a lungo trascurato dagli storici, ma non si è fermato a Milano, proseguendo le sue ricognizioni a Roma, Napoli, Trieste, Firenze, Monza, Como, Berlino, Shangai, New York, Londra, Mosca, più qualche altro luogo che ora ci sfugge. E le ha condotte, quelle ricognizioni, sempre con uno sguardo sicuro che gli ha permesso di scovare tesori di forme espressive ora in opere sconosciute e notissime (quelle famose di nome, ma che pochi osservano veramente), ora in opere sconosciute e basta (quelle che nessuno, tranne i cosiddetti specialisti e non sempre neanche loro, aveva mai preso in considerazione).

Uno dei significati della pittura di Petrus è proprio questo: mostrare le lacune e le smagliature della nostra conoscenza; rivelare la nostra cecità non di fronte all’invisibile (come sarebbe normale), ma di fronte al visibile. Anzi, di fronte al macroscopico, come è appunto un palazzo o un grattacielo.

Non c’è niente di più sconosciuto di quello che abbiamo davanti agli occhi. E Petrus lo scopre, dipingendo le case di Moretti a Milano o il Rockfeller Centre a New York, e scorgendo qualcosa che noi non avevamo mai visto. Ma non solo. L’architettura nei suoi quadri diventa un pretesto per giochi di composizione, di linee, di prospettive, per rovesciamenti di angolature, per inquadrature vertiginose e inattese, per ingrandimenti, collazioni, assembramenti, palinsesti di frammenti.

Così, alla fine, le opere di Petrus e di Damioli dimostrano una cosa: che, se la pittura è una forma di architettura perché costruisce delle forme, anche l’architettura può diventare una forma di pittura. Tra le più coinvolgenti.

inaugurazione
sabato 4 febbraio 2012 ore 18
apertura al pubblico
5 febbraio – 9 aprile 2012
da martedì a venerdì ore 10 – 12 / 15 – 18
sabato, domenica e festivi ore 10 – 18
lunedì chiuso ingresso libero

catalogo
Silvana Editoriale