Svetonio (21, 12­14) scrisse: «per Giulio Cesare – il Grande Padre dell’antica Roma – il prosciugamento del Lago Fucino rappresentava il progetto più prestigioso e straordinario per l’ornamento di Roma, per la bellezza e la ricchezza dell’Impero».

Il progetto Fucinus Lacus di Ester Grossi, presentato in anteprima presso il Museo della Permanente di Milano lo scorso ottobre 2012 in occasione del 13° Premio Cairo, viene sviluppato e ampliato per l’omonima esposizione personale di Ester Grossi curata da Alberto Mattia Martini, che si terrà dal 9 Marzo al 18 Maggio 2013 presso la galleria Spazio Testoni in Via D’Azeglio 50 a Bologna con inaugurazione Sabato 9 Marzo 2013 dalle ore 18,30 alle ore 22,00.

Questo progetto nasce dal desiderio personale dell’artista di tornare nel luogo dove è nata e nel quale non vive più da diversi anni.

“…Come accade spesso, la voglia di conoscerne meglio la storia, riemerge con il tempo e la lontananza. Sin da bambina ho avuto la sensazione di vivere in una zona dell’Italia, la Marsica (una sub-regione dell’Abruzzo), unica dal punto di vista naturale, archeologico e del suo sviluppo tecnologico. La mia visione della storia marsicana è sempre stata molto romanzata e fantasiosa e nonostante le ricerche storiche delle quali mi sono avvalsa per lo sviluppo di questo progetto, ho tentano in parte di mantenerla. Il desiderio è di terminare il tour espositivo, in un’ultima tappa nel luogo di origine, quindi nella Marsica…” Ester Grossi

Testo critico di Alberto Mattia Martini
Fucino! chi è costui? Inizio questa mia riflessione riguardo l’ultima fatica di Ester Grossi in modo volutamente ironico e con un palese riferimento manzoniano, perché devo ammettere che venni a conoscenza del territorio del Fucino, una volta visto il progetto presentato da Ester in occasione dell’ultima edizione del 13° Premio Cairo. Tuttavia dopo aver osservato il lavoro di Ester e dopo essermi confrontato con lei, è scaturito in me un desiderio di capire e comprendere meglio questo luogo affascinante per la sua anomala e remota storia, per le incredibili vicissitudini e trasformazioni che l’hanno visto protagonista nel corso dei secoli.

Sarà stata forse la mia curiosità, che da sempre mi “perseguita” e senza la quale sarebbe stato impossibile dedicarsi all’arte, o il tremendo piacere misto a rabbia, che ogni volta mi assale al collo come un morso di un cane rabbioso, quando i miei occhi scoprono le bellezze della mia amata Patria. Vi starete chiedendo del perché di questa ambivalenza di sentimenti, uno l’opposto dell’altro. La risposta è molto semplice e forse scontata, ma purtroppo tremendamente reale: l’incapacità e il menefreghismo della maggior parte delle istituzioni e quindi dei nostri politici, nei confronti del territorio e di conseguenza per il patrimonio artistico ed architettonico nel quale viviamo. In questo periodo di campagna elettorale, con enorme sdegno e tristezza, il mio ottimo udito ha percepito una sola volta, proprio per essere buono forse un paio, le parole: cultura, territorio, arte e turismo. Trovo tutto ciò terrificante. 

Scusate la mia digressione, ma ritengo anch’essa necessaria al fine di comprendere meglio la sensibilità artistica di Ester Grossi e quindi per poter disporre degli strumenti atti a valutare la ricerca messa in atto dall’artista abruzzese. Tutto ha origine qualche milione di anni fa; allora, in quello che è l’attuale altopiano del Fucino, muoveva le sue trasparenti acque il lago carsico del Fucino. Un luogo a quanto pare magico e di straordinaria bellezza, tanto da essere anche descritto da Virgilio all’interno dell’Eneide, esattamente nel libro VII al verso 759: ” Te nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda, te liquidi flevere lacus”.

Il suo nome, da antiche testimonianze sembra essere stato: lago Forcone e successivamente Celano, mentre il termine Fucino dovrebbe pervenire da un’alga che, in periodi ben precisi della stagione diffondeva di vermiglio le acque del lago, facendole apparire come una fucina.
Il riferimento ad Angizia che anche Virgilio declama, fa riferimento alla foresta che si estendeva nelle vicinanze dello stesso lago e che prende il nome dalla divinità Angitiae, adorata dagli abitanti del territorio e associata al culto dei serpenti, venerata come guaritrice, in special modo proprio dai morsi delle aspidi.

Un territorio come è facilmente identificabile, affascinante, magico, intrigante e come si può riscontrare nei testi a noi pervenuti, di straordinaria bellezza, tanto da essere anche meta di villeggiatura degli antichi romani. Un’area se non unica certamente anomala, che non poteva lasciare indifferente Ester Grossi, originaria di questi luoghi e che la stessa artista motiva con queste parole: “Come accade spesso, la voglia di conoscerne meglio la storia, riemerge con il tempo e la lontananza”. La famosa nostalgia di casa, estremamente reale ed emozionante, che coglie ognuno di noi quando ci troviamo lontani dal nostro paese natio, ma soprattutto la voglia di indagare e ripercorre, riscoprire e quindi comprendere le nostre origini e quelle di un luogo a molti sconosciuto. Ecco che nasce anche da qui il progetto Fucinus Lacus, nel tentativo da parte dell’artista marsicana di affrontare i trascorsi storici e le varie mutazioni ambientali di questo territorio, un unicum dal punto di vista naturale, archeologico e del suo sviluppo tecnologico.

Inizia così a prendere forma l’indagine storica, antropologica e geografica da parte di Ester Grossi, che individua e affronta la sua analisi facendo riferimento a tre momenti salienti di vita e di cambiamento verificatisi e succedutesi in questi luoghi: la presenza del lago, il terzo per estensione in Italia, la trasformazione in pianure finalizzata primariamente all’agricoltura ed infine la realizzazione del Centro Spaziale “Piero Fanti”. Tre cicli, o meglio tre età, e quindi tre elementi differenti: acqua, terra e aria.

Volutamente l’artista abruzzese ha impostato la sua indagine orientandola come abbiamo detto su più fronti come quello scientifico e storico, facendo riferimento alle fonti e alla documentazione, dando tuttavia ampio spazio all’aspetto più creativo ed immaginifico e quindi ad una reinterpretazione personale del reale.

Il primo aspetto riguarda la presenza dell’acqua, del lago che se da una parte restituiva al sito un fascino prezioso ed atipico, dall’altro a causa delle continue variazioni di livello e di estensione, straripava molto frequentemente, inondando lo spazio e quindi arrecando alla popolazione danni irreparabili, tanto da instaurare tra abitanti e questa immensa distesa d’acqua un rapporto di amore/odio. Da qui prende il via la volontà di prosciugare il lago, che vede i primi tentativi già in epoca romana: prima sotto Cesare e poi con Claudio, che riesce a creare un canale sotterraneo di circa 5 Km per fare in modo che le acque confluiscano nel fiume Liri. Un parziale prosciugamento nel quale vengono impiegati numerosissimi uomini, sforzi immani e che richiede ben undici anni di lavori. Purtroppo gli sforzi si rivelano vani ed in epoca medievale il Fucino torna ad essere il padrone indiscusso della Marsica. Trascorrono diversi secoli, quando nel 1855 Alessandro Torlonia, divenuto unico proprietario del territorio, inizia i lavori di bonifica e totale prosciugamento, che giungono a compimento nel 1878.

Il Fucino è così predisposto per una nuova vita, che non vede più l’acqua protagonista nel bene e nel male, ma la concretezza e la floridezza della terra. Il primo passo che Ester Grossi compie è quello di documentare ed interpretare questo anomalo ed importante passaggio, che non solo modifica il territorio dal punto di vista della sua conformazione geologica, ma anche strutturale dello spazio, che vede gli abitanti confrontarsi con la spartizione della terra e quindi un cambiamento radicale che coinvolge direttamente la quotidianità e l’esistenza dell’uomo, che da pescatore deve reinventarsi agricoltore.

Da dove iniziare? L’argomento è chiaramente molto vasto e complesso. Ester decide di inoltrasi improntando le proprie ricerche iconografiche vertendo e spaziando dalle varie illustrazioni realizzate dall’inglese Edward Lear a metà dell’‘800, alle incisioni di Giovan Battista Piranesi, i rari dagherrotipi rinvenuti sino a noi, i disegni di Jules Gourdault, le carte dello storico Raffaele Fabretti, fino alle litografie poste a corredo del grande atlante ottocentesco di Brisse & De Rotrou. Una visione quindi che parte da testimonianze, naturalmente non totalmente veritiere come invece può essere una fotografia, ma che lasciano spazio anche alla libera interpretazione e che bene si coadiuvano con la visone soggettiva che Ester Grossi ha voluto restituire e consegnare al fruitore, come per esempio nell’opera In posa.

Il come era prima e il come è ora, stimola la nostra curiosità, il desiderio di conoscere come era il Fucino prima di quella che possiamo definire: una vera e propria metamorfosi morfologica e paesaggistica. Ester con l’opera Lucus Angitiae ci immerge in questo spazio, tra i colori a campiture piatte, direi quasi volutamente e marcatamente presenti e continui pur creando all’interno della loro uniformità una sorta di “frastagliamento”, di interruzioni nette, marcate, che prese singolarmente vivono di loro vita propria, ma che unite, avviluppate, intersecate e coordinate si “incastrano” perfettamente le une con le altre. Vivono all’interno della tela differenti piani visivi, livelli ed atmosfere che, confluiscono all’unisono dando vita all’opera stessa. Anche in Chiare, fresche e dolci acque prevale questa sensazione che ci conduce attraverso un luogo di tempo assente, dove domina l’atmosfera onirica di un istante bloccato in eterna attesa. In questi lavori stranamente non appare nessuna presenza umana o nessun altro essere, se non una predominante forza naturale, nonostante la figura dell’uomo sia una costante e un peculiare punto di rifermento nella ricerca di Ester Grossi.

L’uomo fa nuovamente il suo rientro in scena nel dittico Fucinus Lacus, nel quale alcuni uomini osservano e si confrontano riguardo ad un reperto archeologico rinvenuto nel territorio: un teschio che ci riconduce inevitabilmente alla storia ma anche alla morte. In lontananza appare uno dei paesi che sorgevano e sorgono tutt’ora nel Fucino, mentre al centro domina ancora la presenza lacustre. Vicino al Giaggiolo o Iris marsica, un endemismo floreale di questa zona, è rappresentata una presenza femminile che “culla” tra le braccia un ceppo di legno. Il serpente accanto a lei ci riconduce alla figura di Angiza, di cui ho accennato sopra e che Ester Grossi ha rappresentato in chiave contemporanea. Un’interpretazione che rievoca la cinematografia, non solo una passione per Ester, bensì parte fondamentale della sua formazione artistica. La “Signora Ceppo” è un chiaro riferimento alla nota serie televisiva dei primi anni’90: I segreti di Twin Peaks. La Signora Ceppo, così come la divinità di Angizia, vive un intenso rapporto e connessione con la foresta; il legno e quindi il ceppo oltre essere per la Signora Ceppo la trasposizione del marito morto in un incendio all’interno del bosco, diviene, così come per la divinità marsicana, elemento sacro, fonte d’ispirazione e di magia, che le consente addirittura di prevede il futuro. Lo spirito ed il linguaggio sia narrativo che di contenuti dell’opera di Ester Grossi, rimandano alle atmosfere create da David Lynch, regista del serial TV: il surrealismo che pervade gli ambienti e la vita dei protagonisti, quell’inquietudine e il turbamento che avvolgono i pensieri, una forte sensazione di straniamento che ci conduce per mano in un mondo altro, in quella sottile linea di confine tra reale e sovrannaturale, il tutto attenuato ed ovattato con il sapore agrodolce del grottesco e dell’ironia.

La trasformazione del luogo del quale ci stiamo occupando, come accade spesso quando l’uomo interviene sulla natura imponendo il proprio pensiero e volere, ha modificato drasticamente l’intera area. Se da un lato la bonifica ha permesso una riqualificazione agraria, uno sviluppo industriale e il sorgere di centri agresti, dall’altro ne ha stravolto l’originaria conformazione, imponendo una presenza costante ed imponente. Questa “umanizzazione” e “civilizzazione” ha comportato una sostanziale modifica climatica e un’inevitabile mutamento della vegetazione e della fauna.

Una notizia di qualche giorno fa apparsa sui media affronta il problema del rischio d’estinzione dell’orso marsicano, ormai ridotto a circa 40-50 esemplari.

La tematica e a mio avviso il dramma ogni volta che si presenta una notizia come questa, non ha risparmiato a maggior ragione Ester Grossi, che nell’opera Orso bruno marsicano, sottolinea la straordinaria bellezza e la indispensabile presenza della natura, in antitesi troppo spesso con la disarmonia e mostruosità dell’uomo, intesa come puro egoismo e drammatica indifferenza. L’artista, facendo riferimento alla visione aerea proposta da Google Earth e per fare in modo che il fruitore possa comprendere visivamente l’attuale conformazione territoriale del Fucino, presenta un’istallazione di tele monocromatiche, alcune tessute e sinonimo del reale appezzamento del sito e della suddivisione del suolo, delle differenti coltivazioni, tanto da apparire come un immenso reticolato geometrico ancora una volta frutto del volontà umana. Il passo successivo ora è quello di affrontare “l’avvento” della tecnologia nella piana del Fucino. Una presenza insolita per questi luoghi, ancora più anomala se ad insediarsi nel territorio giunge un centro telespaziale.

Siamo nel 1961 e questa area viene scelta come sede per l’innovativo e avveniristico centro Piero Fanti, un luogo unico nel suo settore essendo il più grande teleporto al mondo con circa novanta antenne paraboliche attive. Impossibile per Ester Grossi resistere alla curiosità e al desiderio di improntare la sua ricerca iconografica anche sul centro telespaziale. Un luogo che non può lasciare indifferenti, soprattutto se osservato dall’alto, dove la visone più che alla terra ci rimanda ad un’avveniristica e futuribile base spaziale da qualche parte nell’universo. Anche qui Ester non tradisce ne le attese, ne se stessa, ne la sua arte e il suo linguaggio ideale; muovendo la ricerca da immagini reali, ne reinterpreta la percezione, accentuandone alcuni aspetti, sottolineando come l’uomo tecnologico spesso si impossessi della natura, come se essa fosse una “cosa” di sua appartenenza, sulla quale egli è in diritto e in potere di determinarne la destinazione, il futuro e quindi la vita.

Significative le opere nelle quali l’artista ritrae un dipendente del centrospaziale mentre è intento a lavorare su alcuni computer degli anni ’80; qui però l’azione dell’uomo paradossalmente e in modo surreale avviene all’esterno, in contatto diretto con la natura, come a voler sottolinearne l’invasione e l’aggressione umana. L’illustrazione a braccetto con l’ironia e l’immaginazione crescono a tal punto nell’opera Slancio. Scoppio impeto improvviso, da permettere ad un satellite di prendere il volo per lo spazio, nonostante il centro Piero Fanti non sia predisposto per tale scopo. Ester Grossi ci vuole infine condurre non con la memoria ma in questo caso con la realtà e la fantasia, al giorno dell’inaugurazione del centro Piero Fanti. In posa tra cielo e terra, ritrae alcuni dipendenti posizionati in fila e in attesa dello scatto che ne testimoni la presenza; in questa opera, così come In visita nel Centro Spaziale del Fucino, nella quale è palese il riferimento ad Aldo Moro, l’allora Presidente del Consiglio in visita in quei luoghi, emerge chiaramente la commistione di elementi e riferimenti a cui il linguaggio espressivo di Ester Grossi fa riferimento. In queste tele il cinema diviene protagonista, nello specifico quello anni ’50 dell’America hollywoodiana, passando per la cultura Pop, alla rappresentazione grafica, che tracima nell’idioma fumettistico pur mantenendone un solido profilo narrativo, all’interno del quale l’artista ci “trascina”, facendoci approdare in una dimensione atemporale dove il coinvolgimento emozionale si confronta arditamente con l’estraneità e l’indifferenza.

Spazio Testoni
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