Secondo l’etimologia tedesca della parola, “bianco” deriva da “blanch” e significa splendente. Condizione ovvia per un colore senza tinta che contiene la gamma cromatica dello spettro elettromagnetico, una somma luminosa che nasconde il processo sotto la distensiva risultanza ottica. Raccontare il mondo attraverso il bianco impone uno sguardo radicale che rimodula il realismo dei colori primari. Il bianco non tocca la condizione del compromesso ma sale oltre la carne, eleva verso il sublime, cerca altezze vertiginose, entra nelle profondità silenti, armonizza e mette ordine dove solitamente regna il caos.

Francesco Bosso attraversa il bianco con la metodica disciplina del fotografo paziente. Non esiste scatto che non racconti la sua natura attendista, la morbida sapienza dell’azione lenta e fluida, densa come mercurio discendente, pura come latte materno. Le immagini fermano istanti a campo lungo su paesaggi di incontaminata potenza. Luoghi reali che la dosatura tonale trasforma in esecuzioni armoniche dello spirito, partiture fisse che suonano note lunghissime, sottili, ultrasoniche.

Le opere di Bosso sono figlie di un approccio rispettoso, intriso di esperienza viva e senso delle radici. Comprendi che nel suo mondo convivono macchinari preziosi per storia, antiche tecniche di elaborazione e stampa, carte raffinate su cui prende corpo lo sguardo atemporale dell’autore. Senti le tradizioni senza tempo di un approccio fotografico oltre le mode, oltre le pure tecnologie, oltre i facili effetti mediatici.

Si narra di luoghi dal solido impatto naturistico, progenie monolitica che impone la sua stazza arcaica in una costante strategia della resistenza. Il mondo diventa omogeneo davanti agli occhi del fotografo: dagli Stati Uniti alle Seychelles, dall’Italia alle montagne dell’Engadina, senti un filo (bianco in questo caso) che cuce le diverse geografie in una coerente disciplina dello sguardo.

Diversi luoghi come capitoli coscienti dello sguardo lento, profondo, razionale: per narrare un’epica planetaria che suona con la percussione della pietra, le corde degli alberi, i fiati del vento, i tasti bianconeri del mare. E’ la musica visuale dell’entropia, il gancio armonico che accarezza il Pianeta mentre respira dai suoi molteplici spazi d’ossigenazione.

Bosso ferma gli istanti e li rende momenti prolungati, ne scova la natura meditativa e una specie di coscienza del tempo cosmico. In fondo, ci sta ricordando la nostra imperfezione e la precarietà di noi piccoli umani, così frammentati davanti ai bianchi “filosofici” che il fotografo dispone davanti allo sguardo accogliente.

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