Qualche anno fa scrissi un testo per una retrospettiva di Joel-Peter Witkin organizzata da Photology .

A quell'epoca (credo 2007) stavamo godendo felici e sorridenti, in pieno boom economico. Oggi ripensando a quei momenti, ho l'impressione che molti di noi stessero vivendo "immersi in un irreversibile sonno della ragione" (citazione testo originale) e il mondo dell'arte guardava a Witkin come se i suoi lavori fossero fuori-sincro rispetto al benessere che ci permeava.

E' molto probabile che l'artista americano con le sue cruente opere fotografiche ci stesse attivando un campanello d'allarme introducendo, in controtendenza, il mito del "mostro"; intelligentemente ci fece intuire che la società non poteva imporci "di rimuovere le anomalie e di dimenticare le mostruosità della vita di tutti i giorni […] Il mostro rappresenta la violazione delle leggi naturali, il pericolo che incombe, l’irrazionale che non possiamo più dominare. scrive Umberto Eco in Apocalittici e integrati edito da Bompiani nel 1987" (c.t.o)

E infatti come sublimato dalle straordinarie visioni apocalittiche di Joel-Peter Witkin, in pochi anni ci ritroviamo in scenari totalmente ribaltati. Le nostre abitudini sradicate, le nostre certezze abbattute. Il mondo occidentale e' virato verso la decadenza socio-economica e le mostruosità sono all'ordine del giorno a tutti i livelli: violazione dei diritti civili (vedi Siria e Turchia), violenze metropolitane (sulle donne, rapine, etc), corruzione e malavita organizzata come unica via al benessere del singolo. La gente e' colma di tragedia, di angoscia, di dramma sociale ed economico.

Le immagini di "Dark Memories. Le opere vietate" realizzate da Gian Paolo Barbieri in questo nuovo contesto sociale, diventano un antidoto al caos che c'è la' fuori. Un'opposizione al mondo tramite un messaggio sensibile e intimista. Non più una luce rossa che si accende per risvegliare una società vacua, ma segnali visivi per un ritorno alla meditazione sul significato primitivo dei sensi.Il nostro occhio si riappropria di materia iper-organica, così spesso nascosta o vissuta di sfuggita. Attraverso di esso, il senso tattile torna magicamente a palpitare. Odori e sapori sembrano uscire dalla cornice abilmente forgiata dall'artista. Barbieri attraverso la netta messa a fuoco delle parti del corpo (che raramente ci soffermiamo a guardare cosi' da vicino), spersonalizza i soggetti fotografati e re-indirizza l'atto sessuale verso un classicismo che nemmeno Mapplethorpe e Serrano sono riusciti a trasmettere. Nel primo l'aspetto reportagistico prevarica la costruzione premeditata dell'immagine fotografica. Nel secondo una certa ironia nella scelta degli attori e l'uso del colore ci conduce in un'area visionaria grottesca e teatrale.

Dopo le esperienze di Artificial, Madagascar, Tahiti, Equator, A History of Fashion, Innatural, nel nuovo immaginario di Barbieri ritroviamo tutte assieme le virtù artistiche del suo stile esclusivo. Come in un affresco condensato, molte di esse vivono di tensione contraria; per esempio la dolcezza negli sguardi degli attori e l'irruenza dei loro movimenti. La ricerca classica della bellezza si oppone agli aspetti coatti di certi masochismi. Anche la scenografia essenziale fa da sfondo a uno styling a volte barocco, tutto in una magnifica convivenza. Infine la tecnica, forse l'asso pigliatutto del grande maestro: luci che si appoggiano soffici su visi e su curve corporee e che vivono in un contesto di bianconero dalla forza iperrealista; una costruzione narrativa dell'illuminazione di natura cinematografica, tipica del Barbieri anni 70 di Vogue e Bazar.

La purezza di queste apparenti contraddizioni, tutte fuse in una immagine, mostrano un lavoro davvero attuale e maturo. Una sensibilità dell'artista in fuga dalla crisi umana, sociale, politica e che trova nei primitivi significati dei sensi una nuova linfa, del tutto materica e pellicolare.

Testo di Davide Faccioli

Gianpaolo Barbieri nasce in via Mazzini, nel centro di Milano nel 1938, in una famiglia di grossisti di tessuti. Proprio nel grande magazzino di tessuti di suo padre acquisisce delle competenze che gli saranno utili nel suo fare fotografia di moda. Come per altri grandi, Armani per esempio, è il teatro ad esercitare un potente fascino sulla fantasia, tanto da farlo iscrivere alla scuola di recitazione del Teatro Filodrammatici, tra il 1956 e il 1957. Insieme a due amici forma “Il Trio” e nella casa dei genitori rappresentano dei drammi sentimentali: “Letto matrimoniale”, “La Traviata”, “Un tram chiamato desiderio”. In seguito gli viene affidata una piccola parte non parlata in ”Medea” di Luchino Visconti con Sara Ferrati e Memo Benassi. Diventa attore, operatore e costumista insieme al suo “Il Trio” nel rifacimento di alcune parti di famosi film come: La via del tabacco, La vita di Toulouse Lautrec e Viale del tramonto. Il cinema americano degli anni ’50 costituisce una base importante per lui, i drammi di Tennesee Williams o attori come James Dean, Marlon Brando o ancora Lana Turner e Ava Gardner, donne bellissime illuminate da una luce tutta particolare che le rendeva ancora più affascinanti. Quando andava al cinema cercava di capire come queste attrici potessero risultare così belle perciò quando tornava a casa utilizzava tutto ciò che aveva in cantina per ricreare quella luce, prendeva le lampadine e le infilava nei tubi di stufa ma con il tempo imparò che servivano le lenti di Fresnel e i riflettori ma non poteva saperlo, non avendo frequentato alcuna scuola. Il cinema gli diede il senso del movimento e l’occasione di portare la moda italiana, nata su fondo bianco in pedana, in esterno, dandole un’anima diversa.

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