“Ci sono storie con tanta quantità umana che ci permette di ragionare, ma anche di guardare avanti con maggiore consapevolezza” - Gianni Berengo Gardin

Dopo il grande successo alla Casa dei Tre Oci di Venezia, arriva a Milano la mostra di Gianni Berengo Gardin curata da Denis Curti, che con 180 immagini rappresenta la più grande retrospettiva del maestro.

L’edizione milanese è arricchta da 40 fotografie con i volti, i cortili, la storia della città che lo ha adottato e che nel 2012 lo ha insignito dell’Ambrogino d’oro. In oltre cinquant’anni di frequentazioni di luoghi e persone, Berengo Gardin stila, con le sue fotografie, un atlante storico e antropologico di Milano. Un racconto per immagini in cui ciascuno di noi ritrova un po’ di se stesso, della sua storia, dei suoi ricordi. Nel suo racconto poliedrico, intriso di dolce e sottile ironia, scorrono le trasformazioni del tessuto sociale e urbano, le contraddizioni e le sfide della città che è divenuta la sua terra d’elezione.

Nuove fotografie ampliano anche la serie Morire di classe, realizzata su commissione di Basaglia, che indaga sulla drammatica situazione dei manicomi in Italia, per cui Berengo Gardin ha realizzato una storica inchiesta, e il lavoro sugli zingari, una ricerca che ha portato il fotografo a vivere in tre campi nomadi. In mostra anche la collaborazione tra Gianni Berengo Gardin e Luciano d’Alessandro nella sezione Dentro le case del 1977, primo volume di una serie totale di dieci sul tema delle regioni italiane. Immancabile Venezia – dove il fotografo ha trascorso parte della giovinezza – un progetto in bianco e nero sulla città e i suoi abitanti che si allontana volutamente da una raffigurazione stereotipata in chiave turistica. L’autore affronta anche Fede, religiosità, riti con immagini che cercano di raccontare eventi legati a culti spirituali, e mostra un gremito campionario dell’essere umano nella sezione Lavoro, dove pare di “sfogliare” l’umanità nel suo insieme.

Considerato da molti il più rappresentativo tra i fotografi italiani, ha cominciato nel 1954 a lavorare seriamente con la macchina fotografica, tenendola appesa al collo mentre girava il mondo e usando sempre la pellicola. Berengo Gardin dice di dover tutto alle sue macchine fotografiche, soprattutto la sua Leica, vera e fedele compagna di vita. Diviene noto a livello nazionale e internazionale, dalla metà degli anni sessanta, quando alcune tra le riviste più prestigiose come Il Mondo, Epoca, Domus, L’Espresso, ma anche Le Figaro e Time, iniziano a pubblicare le sue fotografie e molti dei suoi progetti.

La vera grandezza di questo testimone del nostro tempo sta proprio nella capacità di raccontare, nei suoi scatti in bianco e nero, le storie senza pregiudizi, una ricchezza di sentimenti attraverso una narrazione lineare e coerente. La sua ricerca è sempre rivolta verso l’uomo, mai con sguardo accusatore, indagatore o paternalistico, ma sempre prendendo posizione.

Figura tra le più importanti e longeve del foto-giornalismo italiano, Berengo Gardin racconta la vita politica, i cambiamenti sociali, gli eventi che hanno marcato la storia del nostro Paese, ma anche la vita per le strade, la gente che si incontra per caso, gli abbracci sorprendenti e spontanei.