Una montagna di sale davanti al Duomo di Milano.
Dal 21 marzo i milanesi assisteranno a una rivelazione. Piazza Duomo sarà occupata da un immensa montagna bianca di sale. La Montagna del Sale di Mimmo Paladino. Un'imponente installazione - voluta dal Sindaco di Milano, Letizia Moratti - che verrà collocata tra la statua equestre di Vittorio Emanuele II e il Duomo, in asse con l'ingresso della Galleria. Una maestosa architettura, con un diametro di circa 30 metri e un'altezza di 20, ricoperta di uno spesso strato di sale, da cui fuoriusciranno trenta sculture (tre cavalli integri e alcuni frammenti di bronzo).

Un intervento austero, ricco di assonanze con l'Arte Povera e con la Land Art, che ha avuto finora altre due versioni. Nel 1990, fu utilizzato come quinta di uno spettacolo teatrale, tratto da La sposa di Messina di Schiller, tenutosi a Gibellina. Nel 1995, fu sistemato a Napoli, in Piazza del Plebiscito: e divenne un motivo dal valore addirittura apotropaico, un oggetto di culto collettivo, abitato, profanato e saccheggiato. Infine, Milano. In concomitanza con l'inaugurazione della grande retrospettiva dedicata a Paladino - curata da Flavio Arensi - che si terrà a Palazzo Reale (dal 22 marzo al 19 giugno). Sarà la prima volta che un artista contemporaneo esporrà nelle sale al piano nobile dell'edificio milanese, in un itinerario, suddiviso in stanze tematiche teso a rivelare il talento di questo avanguardista, abile nello sperimentare codici e linguaggi diversi. Rispetto alle «stesure» precedenti, la montagna di sale, dopo un attento studio del contesto, ha subito lievi aggiustamenti. Un'opera che, dietro la sua straordinaria semplicità formale, nasconde una dimensione politica: «in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, ho voluto portare il sale dal Sud al Nord», dice Paladino.

Come reagiranno i milanesi? Probabilmente, resteranno sedotti: come i berlinesi sono stati affascinati dal Reichstag impacchettato da Christo e da Jeanne Claude nel 1994. Si imbatteranno in un lavoro che è in grado di sottrarsi a quegli esercizi di stile concettuali, tautologici e criptici che contaminano tante esperienze poetiche attuali. Non incontreranno un gioco astratto, incomprensibile. Si misureranno, invece, con una grandiosa scenografia. Un'icona solenne, raffinato esempio di arcaismo moderno.

Paladino elabora una rappresentazione che ha una segreta forza evocativa: frequenti i richiami lontani. Riprende voci dimenticate, echi dispersi. Muovendosi come un archeologo, estrae dall'immenso giacimento della classicità tracce, schegge. Assembla barlumi spesso dissonanti, che rinviano alla Grecia. Ma non si fa ingabbiare dentro la prigione dell'anacronismo. Disegna una grammatica sapientemente imperfetta e inesatta, scandita da continue interruzioni.

Ordini spezzati, lacerti di forme. I cavalli - omaggio al Don Chisciotte di Cervantes - appaiono non nella loro unità, né nella loro interezza, ma come parti di una totalità oramai impossibile: tessere di un mosaico deflagrato. Dinanzi a noi, una distesa di rovine, che sembrano affiorare da un deserto senza increspature. L'ordine antico viene esibito come tensione, necessità: ma, soprattutto, come ipotesi impraticabile. Attraversata da tremiti e inquietudini, la simmetria viene violata, trasgredita. Sono i resti di una battaglia senza eroi, tra cavalieri perduti e sconfitte. Si respira l'atmosfera della catastrofe: l'odore della tragedia avvenuta. Una metafora del nostro tempo della crisi?

Il senso del naufragio è avvolto nel bianco del sale. Un colore purissimo e sacro, che allude al silenzio: alla voce che cessa dopo il dolore. Si compie un prodigio: quasi per incanto, la Montagna riesce a farsi scultura metafisica, espressione di uno slancio mistico. Tomba laica, che indica una pausa, una sospensione nel paesaggio urbano. Intorno, c'è la folla: ci siamo noi, ci sono i suoni, i commenti, il caos della quotidianità. Al centro, c'è una tholos intemporale, costellata di epifanie improvvise, sistemata nel cuore di Milano, avvolta in una magia difficile da sfiorare.

Un segno plastico, capace di imporsi con elegante potenza e, insieme, con immediatezza. Un segno che sa saldare classicità e contemporaneità: gusto per il ritorno sui sentieri della memoria e sensibilità pop. Perché, pur attraversata da riferimenti colti, la Montagna del Sale è innanzitutto questo: un meraviglioso monumento popolare. Che ci induce a riflettere su un tema molto delicato: contrariamente a quanto spesso si ritiene, anche i linguaggi artistici della nostra epoca possono ancora comunicare, parlare, emozionare.