Sarà aperta al pubblico dal 16 aprile al 21 luglio 2013 presso il Museo Fondazione Roma, nella sede di Palazzo Sciarra, la mostra Louise Nevelson, promossa dalla Fondazione Roma e organizzata dalla Fondazione Roma-Arte- Musei con Arthemisia Group. Lʼesposizione, realizzata con il patrocinio dellʼAmbasciata Americana e in collaborazione con la Fondazione Marconi di Milano e la Nevelson Foundation di Philadelphia, annovera oltre 70 opere della scultrice americana di origine russa Louise Berliawsky Nevelson (Pereyaslav-Kiev, 1899; New York, 1988).

«Con la mostra dedicata a Louise Nevelson – dichiara il Presidente della Fondazione Roma, Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele – il Museo Fondazione Roma conferma il proprio impegno per la diffusione della cultura internazionale, offrendo la possibilità di avvicinarsi a realtà meno note al grande pubblico, ma non per questo meno importanti per lo sviluppo dellʼarte del ventesimo secolo».

«Lʼomaggio alla scultrice americana – prosegue il Prof. Emanuele – costituisce lʼulteriore tappa di un viaggio al di là dei confini artistici del nostro Paese, che rappresenta a pieno lʼidentità della Fondazione Roma, i suoi valori, la sua apertura agli altri, lʼattenzione costante per la circolazione delle idee e il dialogo tra le culture».

«Questo progetto – conclude il Presidente della Fondazione Roma – rivolge unʼattenzione particolare al mondo femminile, focalizzandosi sulla personalità e sul tratto figurativo di alcune donne che hanno apportato un contributo significativo allʼarte contemporanea. Il percorso, infatti, è iniziato nel 2009 con lʼesposizione dedicata a Niki de Saint Phalle ed è proseguito con la mostra che ha visto protagonista Georgia OʼKeeffe, nel 2011».

La retrospettiva, a cura di Bruno Corà, narra il contributo che lʼartista ha dato allo sviluppo della nozione plastica: nella scultura del secolo scorso la sua opera occupa un posto di particolare rilievo, collocandosi tra quelle esperienze che, dopo le avanguardie storiche del Futurismo e del Dada, hanno fatto uso assiduo del recupero dellʼoggetto e del frammento con intenti compositivi. La pratica dellʼimpiego di materiali e oggetti nellʼopera dʼarte, portata a qualità linguistica significante da Picasso, Duchamp, Schwitters e altri scultori, nonché lʼassemblage – spesso presente anche nellʼelaborazione della scultura africana – esercitano una sensibile influenza sin dagli esordi dellʼattività della giovane artista, che emigra con la famiglia negli U.S.A nel 1905, stabilendosi a Rockland nel Maine. La Nevelson, insieme a Louise Bourgeois, ha segnato in maniera imprescindibile lʼarte americana del XX Secolo.

La mostra racconta, attraverso un percorso emblematico, lʼattività della Nevelson, che prende avvio dagli anni Trenta, con disegni e terrecotte, consolidandosi poi attraverso le successive sculture: gli assemblage in legno dipinto degli anni ʼ50, alcuni capolavori degli anni ʼ60 e ʼ70 e significative opere della maturità degli anni ʼ80. Le opere presenti in mostra provengono da importanti collezioni nazionali e internazionali di istituzioni e musei, quali la Louise Nevelson Foundation, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaekin in Danimarca, il Centre national des arts plastiques in Francia, The Menil Collection, la Pace Gallery di New York e la Fondazione Marconi.

Nel 1986 la collettiva Quʼest-ce que la Sculpture Moderne?, presso il Centre Georges Pompidou a Parigi, consacra Louise Nevelson tra i più grandi scultori della sua epoca. Lʼartista seguita a lavorare sino alla sua scomparsa, sopravvenuta a New York il 17 aprile del 1988, mentre le sue opere vengono acquisite da noti musei e collezionisti privati negli Stati Uniti e nel mondo.

Il catalogo, edito da Skira, accanto alle immagini delle opere, include il saggio critico del curatore Bruno Corà e alcuni testi storico-critici di Thierry Dufrêne, Thomas Deecke, Aldo Iori, oltre ad un testo di Louise Nevelson del 1972 e uno di Maria Nevelson – nipote della Nevelson – e una conversazione con Giorgio Marconi, Presidente della Fondazione Marconi, che ha diffuso in Italia l'opera della Nevelson.

Leah Berliawsky nasce il 23 settembre del 1899 in Ucraina, a Pereyaslav, cittadina a sud-est di Kiev.

A causa della partenza del padre per gli Stati Uniti, a 5 anni smette di parlare per sei mesi e riprende quando, allʼinizio del 1905, la famiglia si ricongiunge in America. Il suo nome viene cambiato in Louise. Durante lʼadolescenza coltiva lʼinteresse per la cultura in generale grazie alla mentalità aperta del padre, che ritiene di dover dare a tutti i suoi figli, indipendentemente dal sesso, unʼadeguata istruzione.

Determinata sin da giovane a non sposarsi per dedicarsi interamente allʼarte, a soli diciassette anni incontra Charles Nevelson, che chiede la sua mano. Accetta di sposarsi perché il matrimonio può garantirle la cittadinanza americana, stabilità economica e perché il fidanzato non si oppone al suo progetto di divenire unʼartista. Nel 1920 i coniugi Nevelson si trasferiscono a New York. Nel 1922, da una gravidanza non voluta, nasce Myron Irvin Nevelson, poi detto Mike.

Nel 1924 la coppia si trasferisce a Mount Vernon: la lontananza dallʼambiente newyorkese causa i primi dissidi di coppia. In questo periodo Louise si dedica a studi metafisici e di spiritualismo. Nel 1928 i coniugi tornano a Manhattan e Louise inizia a prendere lezioni da Hilla von Rebay, che le mostra le opere di Kandinsky e di Klee e la spinge a recarsi in Europa.

Nellʼottobre 1931 visita Monaco, Vienna, Berlino, Salisburgo, Parigi, quindi lʼItalia, dove ammira i lavori di Giotto. A Monaco e a Parigi vede quadri del periodo cubista, che rappresentano per lei una vera e propria rivelazione.

Nel 1933 conosce e lavora con Diego Rivera e diventa amica della moglie, Frida Kahlo.

Nel 1935 insegna pittura murale e inizia a esporre in piccole gallerie del Greenwich Village. Dello stesso anno, la prima importante prova pubblica nellʼesibizione annuale della Society of Indipendent Artists, organizzata dal Rockefeller Center; la seconda è ancora una collettiva.

La critica inizia ad accorgersi della sua presenza, ma nonostante i primi riconoscimenti, vende pochissimo e ciò è fonte di sconforto.

Donna intelligente e molto bella, ma anche volubile e anticonformista, tra alti e bassi di umore, Louise è incostante nelle amicizie, non aderisce a nessun gruppo artistico ed è sempre concentrata su se stessa. La necessità di una vita libera da legami, alcune avventure sentimentali e gli incoraggiamenti di maestri e amici a dedicarsi interamente allʼarte, la distaccano dal marito da cui divorzierà nel 1941. La sua stravaganza e il suo carattere contribuiscono a determinare un giudizio negativo sulla sua persona che si riflette sul suo lavoro, escluso da rassegne artistiche e non compreso.

Allʼinizio degli anni ʼ40 New York è piena di artisti in fuga dalla guerra europea e la Nevelson ne conosce molti, tra cui Piet Mondrian. Ad agosto del 1941 decide di modificare lʼatteggiamento nei confronti del mondo dellʼarte e si reca nella prestigiosa galleria di Karl Nierendorf per chiedere una personale, che il gallerista organizzerà, con un impatto favorevole sulla critica.

Il figlio Mike parte per la guerra. Nel 1942 inaugura una seconda personale presso la stessa galleria Nierendorf: le sue opere sono ora il risultato di assemblaggi che anticipano il lavoro degli anni seguenti e sempre più spesso compare ilnero come unico colore dominante.

Nel gennaio del 1943 partecipa alla mostra Thirty-One-Women presso Art of This Century, la galleria di Peggy Guggenheim.

Il suo equilibrio emotivo muta grazie al miglioramento del rapporto con il figlio e alla sua relazione con lʼartista Ralph Rosenborg, durata più di cinque anni. Matura così in lei una nuova coscienza del lavoro e dellʼimportanza dellʼesposizione delle proprie opere.

Ma il suo lavoro è letto ancora come una deriva surrealista. La critica sarà invece positiva nei suoi confronti nel 1946, grazie allʼopera Young Bird, inclusa nellʼannuale esposizione del Whitney Museum of American Art di New York.

A partire dal 1947 Louise studia le nuove tecniche di stampa presso Atelier 17 di Stanley William Hayter. Dopo la guerra molti artisti rientrano in Europa. Nevelson frequenta assiduamente i colleghi dellʼespressionismo astratto, tra cui Rothko, ma è esclusa dalle loro mostre. Parte per il Messico dove ritrova Rivera e rimane affascinata dallʼarte precolombiana.

Negli anni ʼ50, accettata come membro della Federation of Modern Painters and Sculptors, è oramai nota come Lady Lou. Giungono i primi riconoscimenti pubblici e nel 1952 è accolta alla National Association of Women Artists. Le sue opere cominciano ad avere un mercato, sono anni di intenso lavoro, durante i quali la critica la sostiene, e nel 1958 Life le dedica un servizio.

Nel 1959 il Museum of Modern Art di New York acquista una sua opera e altre entrano nelle collezioni del Whitney Museum e del Brooklyn Museum di New York, dellʼAlabamaʼs Birmingham Museum, del Museum of Fine Arts di Huston e del Fansworth Museum di Rockland.

Jean Arp vede lʼopera del MoMA e le dedica un poema. Negli anni ʼ60 Nevelson meraviglia il mondo dellʼarte con grandi sculture monocrome bianche, nere e oro, esponendole nella personale Royal Tides alla Martha Jackson Gallery e alla Biennale di Venezia del 1962. In seguito la sua arte approda da Cordier a Parigi, alla Kunsthalle di Baden-Baden in Germania e al Whitney Museum. Si interessa a inedite esperienze professionali e i suoi lavori raggiungono dimensioni sempre maggiori, in sintonia con le grandi opere dell'Espressionismo Astratto.

In questi anni è più che mai attiva: amplia il suo studio e la presenza di assistenti le permette di lavorare molte ore al giorno e di riprendere l'attività grafica, rispondendo alle richieste di un mercato ormai internazionale.

Numerose sue personali sono ospitate in musei pubblici e gallerie private. In Italia – dopo aver esposto nel 1970 alla galleria Lolas-Galatea di Roma – inaugura nel 1973 una mostra di ottanta lavori eseguiti tra il 1955 e il 1972 presso lo Studio Marconi di Milano, con cui inizia un felice e duraturo rapporto; nel 1976 partecipa nuovamente alla Biennale di Venezia.

Anche la critica la osanna come la più grande scultrice vivente. Nevelson cura molto la sua immagine, dai toni sempre eccessivi, tra il drammatico e il fatale, con foulard e ciglia finte e vestiti ricercati, quasi lei stessa fosse una creazione artistica.

Negli ultimi anni della sua vita – ancora prolifica e attiva – le diagnosticano un cancro polmonare. Le cure la violentano e la indeboliscono; nel febbraio 1988 smette di parlare e il 17 aprile muore nella sua casa newyorkese. Il mondo dell'arte le tributa i massimi onori, mai prima riservati ad un'artista donna.

Museo Fondazione Roma
Palazzo Sciarra
Via Marco Minghetti, 22
Roma 00187 Italia
Tel. +39 06 697645599
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Orari di apertura
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00
Lunedì chiuso
La biglietteria chiude unʼora prima