Per andare avanti, per rivoluzionare l’arte, per dare il via all’Impressionismo combattendo luoghi comuni, accademisimi e morale borghese, portando la contemporaneità e la luce en plein air nei suoi dipinti, Édouard Manet guardò all’Antico. Con prodigiosa libertà, certamente, ma con passione. Molto si è detto e scritto sul ruolo dei modelli spagnoli nella sua formazione, ma mai prima d’ora si sono indagati in maniera puntuale il legame stringente, l’impatto emotivo e creativo, la fascinazione che su di lui ebbero la pittura italiana del Rinascimento e quella veneziana in particolare. “Manet. Ritorno a Venezia”, la mostra che la Fondazione Musei Civici di Venezia ospiterà dal 24 aprile al 18 agosto 2013 nelle monumentali sale di Palazzo Ducale, progettata con la collaborazione speciale del Musée D’Orsay di Parigi e coprodotta con 24Ore Cultura Gruppo 24 Ore – con il patrocinio della Regione del Veneto e della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna – ripercorrerà questi legami e questa passione attraverso un corpus straordinario d’opere dell’artista e confronti mai prima d’ora resi possibili, mettendo finalmente in luce il rapporto stringente di Manet con l’Italia e la città lagunare. Sarà emozionante vedere riunite, in particolare, la dirompente Olympia di Manet (1867) - opera che lascia per la prima volta la Francia - e la sublime Venere di Urbino di Tiziano (1538) prestata eccezionalmente dalla Galleria degli Uffizi: il dipinto che l’artista ammirò a Firenze e da cui trasse ispirazione per raffigurare la sua sfrontata “femme de plaisir”. Un confronto “storico” tra due diverse “modernità”, tra due icone dell’arte universale, che si realizza grazie anche all’impegno del Sindaco di Venezia e alla comunione d’intenti dei Ministeri degli Esteri e della Cultura italiani e francesi.

Curata da Stéphane Guégan, con la direzione scientifica di Guy Cogeval e Gabriella Belli e con il progetto allestitivo di Daniela Ferretti, l’esposizione si propone dunque come un autentico evento: mai la pittura di Manet è stata presentata in maniera così significativa in Italia e mai è stato affrontato sul piano critico un aspetto così peculiare della sua arte. Tutto ciò non solo grazie ai prestiti eccezionali del Musée d’Orsay - istituzione che conserva il maggior numero di capolavori del geniale pittore francese - ma anche di tanti altri musei internazionali, che hanno aderito all’evento, come il Metropolitan Museum di New York, la Bibliothèque Nationale de France, il Courtauld Institute di Londra, The Museum of Fine Arts di Boston, The National Gallery di Washington, l’Art Institute di Chicago, il Musée des Beaux-arts di Digione, il Musée di Grenoble, il Musée des Beaux-arts di Budapest, lo Städel Museum di Francoforte, ecc. Complessivamente oltre 80 opere in mostra, tra dipinti, disegni e documenti. Se dunque gli studi su Manet si sono per lungo tempo concentrati sull’idea di una sua diretta discendenza dall’opera pittorica di Velázquez e di Goya, vedendo nell’ispanismo l’unica fonte della sua modernità e la ragione e lo stimolo per il suo rifuggire dal “ritorno” alla tradizione accademica, non meno significativo fu in realtà il legame con l’arte italiana. E se Le Déjeuner sur l’herbe (1863 -1868 c.) e l’Olympia (1863) - entrambi esposti - sono chiaramente variazioni da Tiziano e due splendide testimonianze della relazione di Manet con l’Italia, ancora molti sono gli esempi della profonda conoscenza dell’eredità artistica di Venezia, Firenze e Roma, da parte del grande pittore, che la mostra saprà svelare.

L’itinerario dell’esposizione, che ripercorre attraverso assoluti capolavori - Le fifre (1866), La lecture (1865-73), Le balcon (1869), Sur la plage (1873), Portrait de Mallarmé (1876 ca.), ecc. - tutta la vita artistica di Manet, con riferimenti più o meno espliciti al suo “intricato” universo privato, si apre con una serie di libere interpretazioni d’antichi dipinti, affreschi e sculture che egli vide durante i suoi due primi viaggi in Italia, nel 1853 e nel 1857. Si potranno ammirare per esempio la Copiede l’Autoportrait du Tintoret (1854), lo Jupiter et Antiope d’aprés Titien (1856) e alcuni significativi fogli in cui Édouard fissa il ricordo delle opere dei grandi Maestri italiani. Immediata risplende l’influenza veneziana, inseparabile dall’audacia con la quale il pittore sonda le istanze contemporanee e si defila dalle convenzioni accademiche.

L’Italia del resto non è assente neppure nei dipinti di Manet più legati alla Spagna: la sua pittura religiosa si nutre tanto di Tiziano e Andrea del Sarto quanto di El Greco e Velázquez. Le sue silenti Nature morte, dietro alla fedeltà alle formule olandesi, riservano molte sorprese che non solo rimandano alla tradizione nordica, ma sembrano anche ispirarsi a un vigore cromatico e costruttivo tutto italiano. Quando il pittore si avvicina definitivamente alla “moderna” Parigi, la sua pittura non tralascia la memoria italiana ma ne resta intrisa di ricordi. Le tele di Lotto e di Carpaccio pensiamo alle Due dame veneziane (1490) affiancate in mostra a Le Balcon racconteranno di questi legami ai visitatori.

“Amo i Carpaccio che hanno il fascino ingenuo delle miniature dei messali… Incomparabili i Tiziano e i Tintoretto nella Scuola di San Rocco” avrebbe detto Manet, stando a quanto riportato dal contemporaneo Charles Toché che egli conosce a Venezia nel 1875. Dopo la guerra franco-prussiana e le vicende anche drammatiche della Comune parigina, Manet ritrova infatti il cammino verso la città lagunare. È già un pittore famoso.Il 1874, anno della 1ª Esposizione dei Pittori Impressionisti, è anche quello del suo terzo viaggio in Italia, dove rivede la città amata da Turner e Byron che immortala in due piccole tele, raffiguranti il Canal Grande. È quasi un incrociarsi con l’atmosfera già modernissima dell’ultimo Guardi. In questi due piccoli ma magistrali dipinti, che fungeranno da modello per molta pittura veneziana allo scorcio del XIX secolo, l’aria è così trasparente da far cantare le tonalità dei blu e dei bianchi della sua tavolozza come non mai. E anche nel suo celebre Bal masqué à l’Opéra (1873-1874) rifiutato quell’anno dai giurati del Salon parigino - in mostra da Washington -risuonano le musiche degli amori mascherati e del gioco ambiguo dell’identità, sicuramente conosciuto attraverso l’opera dal veneziano Pietro Longhi.

Il terzo momento italiano della sua carriera racconta le ultime esperienze di un artista che la morte stronca a soli 51 anni (1883). L’ultimo Manet, diviso tra l’esaltazione dei parigini à la page e la svolta repubblicana del 1879, fa gioire la pittura e infiammerà il Salon.

Il catalogo sarà edito da Skira-Milano, con scritti di: Roberto Calasso, Guy Cogeval, Stéphane Guégan, Gabriella Belli, Flavio Fergonzi, Cesare De Seta e Camillo Tonini.

Palazzo Ducale
San Marco, 1
Venezia 30124 Italia
Tel. +39 041 8520154

Orari di apertura
Dalle 9.00 alle 19.00 da Domenica a Giovedì
Dalle 9.00 alle 20.00 Venerdì e Sabato
Chiusura biglietteria 1 ora prima