Costruire mondi senza fornire le relative mappe. Questo sembra essere il centro della poetica di Nauhm Tevet.

Le sue opere, realizzate dentro perimetri stabiliti, si presentano allo spettatore come agglomerati di oggetti che nell'apparente disordine compositivo esprimono invece una forte regolarità autoreferenziale. Si lasciano osservare come opere finite, nelle quali il caos del momento creativo non ha più alcuno spazio. Ogni elemento occupa un punto stabilito senza alcuna concessione alla casualità dell'accumulo.

La perfezione geometrica è un mezzo, una necessità compositiva per creare un ordine alternativo, diverso.

La sicurezza che gli oggetti e parti di mobilio usati nelle installazioni trasmettono è una sensazione solo iniziale, perché ogni sedia, ogni tavolo nelle nuove architetture di Tevet dimentica il suo significato di funzionalità originario e si trasforma in opera compiuta.

Il suo rapporto con il riciclo degli oggetti non ha niente di alternativo, il loro riuso ha in sé invece una alterità tangibile. Il calore di qualcosa di conosciuto si smorza nella voluta freddezza della rappresentazione finale.

Molti i rimandi teorici e storici che la sua arte suggerisce. Il rapporto con le sue origini e con la perfezione modernista delle architetture che hanno fatto Tel Aviv è evidente. Ma è anche decisiva per comprendere la poetica dell'artista la sua insofferenza a essere incasellato in categorie date, e la sua soddisfazione dichiarata di non essere racchiuso, perciò costretto, in un tema definito.

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