Per l’ultimo mezzo secolo Piero Guccione è stato una leggenda in Italia, enormemente esposto e generosamente lodato dagli scrittori più importanti del paese ma raramente sentito (evita risolutamente ogni intervista) e quasi mai visto pubblicamente. Fuori dal mondo, in uno studio silenzioso nella lontana Sicilia meridionale, Guccione passa mesi, a volte anni, su una singola immagine, rielaborando ossessivamente le sottigliezze precise dei suoi toni, fino a quando sente che ha catturato l’essenza delle aride colline e del luccicante Mediterraneo che compongono i confini del mondo che ha scelto. Solo allora Guccione permetterà a quell’opera di raggiungere le altre pazientemente assemblate per una delle sue mostre a Roma, Parigi, New York e ora, finalmente, Londra.

Nato in Sicilia nel 1935, Guccione ha vissuto la sua giovinezza a Roma, dove ha studiato, e più tardi insegnato presso l’Accademia di Belle Arti. La sua opera, come la descrive lui, ha tracciato un arco che va dalla pittura altamente gestuale dei suoi vent’anni alla scrupolosa, poetica ri-creazione della realtà che ha segnato la sua maturità di artista. Quest’ultima evoluzione, infatti, si è dimostrata così esigente che la vita in città per lui era diventata un ostacolo. Alla fine degli anni ‘70, con lo stesso entusiasmo e sollievo che aveva sentito lasciandola da giovane, Guccione torna in Sicilia alla ricerca dello spazio e della luce, come del tempo e della libertà, necessari per esaltare al meglio la sua precisa visione.

Periodicamente, per sfuggire al lungo lavoro che ogni nuova pittura ad olio gli impone, Guccione si concentra sul pastello. Il cambiamento del mezzo lo libera, e la naturalezza con cui lo impiega gli consente di catturare un lato più istantaneo della realtà – il volto infinitamente mutevole della natura – che lo ossessiona. Così può muoversi liberamente dal tema ossessivo del mare e del cielo, verso la cattura di rondini nel loro volo estivo o la brillantezza fissata nelle stelle di notte. Anche l’auto di Guccione, fedele compagna nella sua ricerca di soggetti nuovi e inaspettati, viene celebrata in questi studi spontanei, scatenando il romanticismo friedrichiano della scena con la sua brutale solidità metallica.

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