A distanza di quattro anni dalla loro prima personale italiana, Yelena Vorobyeva & Viktor Vorobyev ritornano a Milano per inaugurare la nuova stagione espositiva della Galleria Laura Bulian. In quest’occasione la nota coppia di artisti kazaki presenta quattro grandi progetti che vanno dal 2002 al 2012 e coprono l’ultimo decennio. Curata da Marco Scotini, la mostra raccoglie sotto il titolo comune di Provincial Set alcuni lavori tra i più significativi dei due rappresentanti della scena artistica dell’Asia Centrale.

Autori d’inventari fotografici, di archivi d’immagini documentarie, Yelena Vorobyeva & Viktor Vorobyev da anni registrano con esattezza particolari trascurabili della vita di ogni giorno, elementi vernacolari, soggetti non particolarmente fotogenici. E lo fanno in maniera seriale, per tipologie, dando origine non a singoli fotogrammi ma a classi coerenti d’immagini. In apparenza insignificanti (e mostrati inequivocabilmente per quello che sono), questi minimi dettagli (di oggetti, di colore, di costume) finiscono per rivelarsi tanto segni di una macrostoria quanto nuove metafore sociali o simboli mimetizzati del potere.

Ma la ricerca dei Vorobyev non è mai un’inchiesta esaustiva o sistematica, tantomeno intende esserlo. È piuttosto una tassonomia occasionale e discontinua in cui il ricorso alla pratica “concettuale” della fotografia (e alle sue convenzioni di neutralità) si rivela la più adatta a trasformare le tracce dell’esperienza ordinaria in documento e, allo stesso tempo, in puro segno. Di fatto, queste classi d’immagini (da Sunsets and Sunrises a Kazakhstan. Blue period, da Bazar a The Fence) mettono in scena pratiche singolari di appropriazione e collezione, i cui soggetti acquistano il carattere di ready made socio-culturali da un lato, ma dall’altro (una volta decontestualizzati e ripetuti) finiscono per diventare figure astratte all’interno di sequenze ornamentali.

Questo doppio livello, così come il salto di scala tra micro e macro, non cessa di tradurre condizioni reali e proiezioni fittizie (aspirazioni sociali, nostalgie remote, nuovi stili di vita) dello spazio postsovietico contemporaneo. Il lavoro dei Vorobyev non si rivolge al passato socialista o alla sua memoria, al contrario di quello di molti altri artisti attuali. Si concentra piuttosto (attraverso una lucida critica) sulla successione più o meno diretta tra il potere totalitario precedente e il regime attuale nell’ex periferia sovietica: quello che i Vorobyev oggi chiamano “democrazia decorativa”. La frammentazione, i neonazionalismi, la distruzione di ogni legame comunitario, la nostalgia per un’autenticità patriarcale, il nuovo blu turchese della bandiera kazaka, sono tutti caratteri ricorrenti delle società neototalitarie centro-asiatiche che le immagini dei Vorobyev non smettono di rendere visibili.

Ogni progetto dei Vorobyev richiede un tempo di produzione molto lungo che coincide con quello della raccolta delle tracce, della collezione. Proprio in The Fence (2004-2012) quella che era la cortina di ferro sovietica, a livello mentale, si trasforma nella reale moltiplicazione dei nuovi recinti della proprietà privata che fa la sua ricomparsa a partire dalla perestrojka. Le lastre metalliche con gli emblemi socialisti vengono riciclati nelle recinzioni improvvisate delle periferie di Alma Ata e il rosso comunista viene coperto dal verde islamico. Anche qui, come in Blue Period, il colore è un indice in grado di identificare tanto i membri di una comunità che le simbologie metafisiche. La riconversione semiotica tradisce un’identica egemonia politica, anche se in un contesto mutato.

Alle nuove classi sociali delle periferie postsovietiche non rimane altro che un confronto sempre più serrato con i modelli capitalisti occidentali in una rincorsa senza possibilità di alternative. Il gap tra realtà e proiezioni è quanto i Vorobyev sottolineano nel ciclo Photo for Memory. If a Mountain Doesn't Go to Mahomet ...(2002) in cui hanno fotografato gente della steppa contro lo sfondo di poster che riproducono le capitali occidentali. Ma il carattere di disillusione e l'impossibilità di uscita raggiungono il massimo dell'evidenza nell'opera multimediale Day and Night (2007) in cui l'orizzonte è definitivamente chiuso. Le classiche inferiate delle finestre, che a partire dal 1991, sono divenute un segno comune delle abitazioni del Centro Asia, sostituiscono i raggi del sole (nascente e calante) con un suo calco metallico. Questo dispositivo di protezione domestica diventa nei Vorobyev un simbolo forte di prigionia incondizionata sotto il segno dell'oriente e del sole.

Laura Bulian Gallery
Via Montevideo, 11
Milano 20144 Italia
Tel. +39 02 48008983
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www.laurabuliangallery.com

Orari di apertura
Martedì - Sabato
Dalle 15.00 alle 19.00