Qual è la filosofia progettuale che guida il suo studio di architettura?

La mia prima formazione è artistica; ho sempre pensato l’architettura come opera d’arte, quindi un’opera unica e originale perché legata a un luogo, un committente, realizzata in un periodo di tempo specifico. Nel mio lavoro cerco sempre di analizzare, capire e interpretare i luoghi e gli spazi, per cogliere suggestioni e immagini che poi traduco con una serie di schizzi e disegni preliminari che diventano l’idea del progetto. Rispetto ad altre forme d’arte, l’architettura nel suo svolgersi è fortemente condizionata da un’infinità di questioni che nulla hanno da spartire con l’essenza del progetto. La difficoltà maggiore consiste nel riuscire a gestire tali condizionamenti e realizzare il progetto senza tradire la magia dell’idea.

Può descrivere in sintesi il progetto, nei suoi aspetti più rilevanti?

Il sito dove sorge l’edificio è caratterizzato da una serie di insediamenti industriali realizzati con capannoni prefabbricati. Lo stesso mio progetto per uffici è la testata, verso il fronte strada, di un nuovo opificio industriale con cui doveva essere collegato. Ho percepito immediatamente l’esigenza di una forte caratterizzazione del progetto. L’idea principale è stata quella di realizzare un lungo corpo di fabbrica parallelo all’opificio e alla strada, sospeso su pilastri per segnare a terra la continuità spaziale tra fronte e retro. L’edificio in questo modo cerca di stabilire una valenza di architettura urbana nel rapporto, seppure mediato dalla profondità del lotto, con la strada; inoltre assolve il compito di determinare una precisa gerarchia funzionale e formale dell’intero sistema insediativo. Nel disegnare la facciata principale ho immaginato un pentagramma musicale su cui comporre una serie di note… questo era un modo per scandire la volumetria della facciata con una teoria di profonde aperture non allineate fra loro ma composte con un ritmo che evitasse l’omologazione delle facciate prefabbricate. Al piano terra, due corpi di fabbrica interamente vetrati si incastrano tra il vuoto dei pilastri; in questa maniera, nella parte interna verso il capannone, ho disegnato una serie di spazi a verde; su questi si affacciano le aperture degli uffici e delle sale riunioni.

Quali aspetti di questa realizzazione considera particolarmente attuali e in sintonia con l'evoluzione del modo di progettare per questo settore?

Gli aspetti più interessanti sono stati dettati dall’esigenza di dover coniugare i vincoli posti dalla produzione industriale e seriale con la possibilità di realizzare un’opera finita con una precisa e autonoma identità. Anche formale.

A che punto dello sviluppo del progetto si inserisce il dialogo con i materiali, e la loro selezione?

Ho un profondo rispetto per le caratteristiche e le qualità dei materiali e distinguo i materiali che sono la parte strutturale di un’architettura da quelli che sono di finitura. I primi condizionano subito le scelte progettuali. I secondi sono selezionati quando il progetto è completamente definito nella propria configurazione spaziale e formale e sono di supporto a queste scelte progettuali.

Le linee Florim offrono prodotti con caratteristiche idonee per questo tipo di progetto. In particolare quali avete deciso di inserire, e con quali obiettivi?

La scelta si è orientata sulla gamma Neutra di “Casa dolce casa”, un prodotto che avevo già usato in altri progetti di abitazioni private. Ero interessato a ottenere una superficie unica, omogenea, che esaltasse il senso di continuità spaziale fra i vari ambienti, e fra interno/esterno.

Il Gruppo Florim considera parte integrante del proprio lavoro essere un punto di riferimento per i progettisti anche durante le fasi di esecuzione dei progetti. E' stato importante, in questa realizzazione, poter ricorrere all'esperienza e alle competenze degli specialisti dell'azienda?

Sicuramente. Ho trovato piena disponibilità e assistenza da parte dei loro specialisti.

Per maggiori informazioni:
www.florim.it