Ogni artista è spesso anche un collezionista. Anzi, sempre, se si contemplano tra le preziosità della collezione anche le immagini, i ricordi, gli odori e le forme di qualcosa di speciale. Nel caso di Antoni Tàpies, il termine è invece usato in senso stretto. Nella sua casa catalana si affollavano oggetti provenienti da oriente come da occidente, erano esposte opere di amici artisti diventati celebri negli anni formando quella che Daniela Ferretti –curatrice del Museo Fortuny dove è ora in corso la personale di Tàpies – ha definito una “biblioteca visiva”, dove la conoscenza è data dalla memoria di segni archetipici, universali, talmente semplici e intensi da diventare l’alfabeto privilegiato di Tàpies per la sua arte (fig.3 e fig.1).

Tredicenne sbircia i libri d’arte contemporanea che il padre, consulente legale del governo, teneva in casa e dieci anni più tardi, dopo gli incompiuti studi di giurisprudenza, inizia lo studio del disegno e la passione per la pittura. Sono di questo periodo alcuni suoi autoritratti che svelano l’influenza di Picasso e del Surrealismo. Già nel 1946 si palesa la sua tendenza all’astrattismo e al collage e inizia la lunga serie di esposizioni. In quegli anni nasce la lunga e intima amicizia con Joan Mirò e si trasferisce a Parigi da dove partono poi tutti i suoi successivi viaggi in Italia. Negli anni Sessanta vengono organizzate le prime mostre retrospettive a lui dedicate: è del 1962 quella al Solomon R. Guggenheim Museum di New York e alla Kunsthaus di Zurigo. Nel biennio seguente accade una cosa importante: partecipa a una collettiva a New York in cui si trovano anche Beuys, Fontana, Klein, Manzoni e Tinguely. Negli anni in cui partecipa a riunioni clandestine per la creazione di una unione democratica spagnola contro la dittatura di Franco, viene pubblicata la sua prima monografia curata da Michel Tapié. Fatta di viaggi in Europa e negli Stati Uniti, la sua vita è una lunga e ininterrotta serie di esposizioni e premi, di appunti in forma di memorie, di libri autobiografici e di saggi critici sull’arte e sulla società. I più grandi musei del mondo, le fondazioni per l’arte che hanno segnato il destino dei più importanti artisti del Novecento hanno presentato una sua mostra personale o un suo lavoro in una collettiva. Nel 1996 viene appuntato con la Croce dell’Ordine di Santiago dal Presidente della Repubblica Portoghese – a cui seguiranno molte altre onorificenze – e pochi mesi dopo vengono esposte le sue sculture in bronzo presso la Weddington Galleries di Londra. Nel 1984 viene costituita la Fondaciò Antoni Tàpies che, per rendergli omaggio, nel giorno della sua morte il 6 febbraio 2012, concede il libero accesso ai cittadini desiderosi di ammirare le sue opere. Ora una selezione di lavori è esposta nel bellissimo Museo Fortuny di Venezia.

L’arte di Tàpies è un procedere interiore. Una scoperta di nuove inquietudini quotidiane che lo spinsero tutta la vita alla ricerca di un segno in grado di dire tutto. La croce, primitiva forma di scrittura, diventa simbolo di universalità. Il colore, a tratti denso raramente velato, rappresenta una passione, un’inquietudine. Qui, nel buio di questi spazi ogni linea, ogni sfumatura, declama la sua eloquenza. Una casa in cui Mariano Fortuny trascorse la vita, studiò, collezionò e sperimentò. Il luogo ideale per le opere di Tàpies, un’affinità elettiva che emerge spontaneamente, visivamente. Egli stesso ebbe l’occasione di dire “Il senso di un’opera non si trova, per così dire, nell’opera stessa. Ogni opera, infatti, si pone in relazione con molte altre dello stesso autore o di altri artisti. Spiegare un’opera, quindi, è un po’ come illustrare la storia dell’arte contemporanea”. In questa ottica possiamo capire Tàpies attraverso le opere che Mariano Fortuny ha conservato nel suo Palazzo e, soprattutto attraverso le opere degli artisti di cui Tàpies ammirava la produzione e collezionava come Rothko, Mirò e Motherwell al suo fianco alle pareti di queste incantevoli sale. La mostra è in corso dal 1 giugno al 24 novembre 2013.

Testo di Chiara Casarin