“La Theriaca di Andromaco è una composizione così ben regolata in tutte le sue parti, e così sicura negli effetti, che sorpassa ogni altra medicina; e può dirsi, ringraziato Iddio, rimedio concesso per la preservazione dell'uomo, perché utile a' mali moltissimi che affliggano il corpo umano, e tanto in oggi è nota per tutto il Mondo, che non abbisogna di maggior spiegazione”. (Virtù, Facoltà, Ed Uso Della Theriaca Di Andromaco Il Vecchio che si compone con tutta fedeltà, e particolar diligenza da Pietro Cappelletto Di Pasquale Speciale all'antica specieria Dello Struzzo D'oro sopra il ponte de' Baretteri In Venezia).

Alla fine del 600 la città di Venezia poteva contare su un numero assai copioso di spezierie, all’incirca un centinaio. Di queste, distribuite per la città in modo da non disturbarsi l’una con l’altra nella condotta degli affari, solo alcune, le cosiddette “triacanti” godevano di uno statuto speciale concesso dall’amministrazione, che permetteva loro di produrre la rinomata “theriaca”: Alle Tre Torri, Allo Struzzo d’Oro e Alla Testa d'oro erano i nomi delle più famose.

La spezieria Allo Struzzo d’Oro, situata storicamente nei pressi del ponte dei Beretteri – uno dei più attraversati per la sua posizione centrale nel percorso che porta verso Piazza San Marco – assunse un ruolo particolare grazie alla figura dello speziale Giorgio Melichio che ne fu proprietario, verso la fine del XVI secolo.

Uomo di vaste conoscenze specialistiche, autore, fra l’altro, del più apprezzato antidotario della fine del XVI secolo, Giorgio Melichio divenne assai famoso anche al di fuori d’Italia per il suo operato: la sua “degnissima Triaca”, fonte di sicuro arricchimento per la città, veniva esportata in quasi tutti i paesi, compreso la lontana Cina. L’Imperatore in persona, essendo venuto a conoscenza della qualità del suo preparato, ne richiese per se stesso, seguendo la tendenza di molti sovrani e personaggi delle corti europee che facevano di tutto per garantirsi una riserva della potente panacea, tanto che Giuseppe Du Chesne “il Quercetano” (1546-1609), medico di Enrico IV di Francia, formulò una sua “Teriaca benedetta” e addirittura una “Teriaca Celeste” destinata espressamente all’uso personale di re e grandi personaggi.

La farmacia allo _Struzzo d’Oro _in Venezia, in virtù della competenza del suo proprietario non fu solo una normale spetiaria come tante altre, ma rappresentò un luogo di incontro, di studio e apprendistato per i giovani che si avvicinavano alla professione dello speziale, operando in collaborazione con il Collegio dei Signori Medici della città di Venezia al fine di rendere sempre più scientifica la preparazione dei futuri speziali, compito che più tardi venne assunto dalle università. Giungevano, infatti, spesso alla sua bottega speziali provenienti da altre città e ospedali importanti, come Camaldoli e Milano, allo scopo di perfezionarsi nelle conoscenze “erboristiche” con colui che veniva riconosciuto come il più competente in assoluto.

Venezia aveva già acquisito da tempo una posizione privilegiata nella produzione della theriaca in virtù della sua innata vocazione commerciale indirizzata verso Oriente che garantiva immissione continua nei mercati veneziani di prodotti esotici e spezie di prima mano, anche quelle più rare che entravano nella composizione dell’elettuario teriacale. Per comporre la theriaca in Venezia erano necessari infatti ben sessantadue ingredienti. Altre città si garantirono un monopolio sulla produzione del rimedio come Napoli, Bologna e Genova, ma le loro theriache non raggiunsero mai la notorietà e l’alta qualità della veneziana.

La produzione di theriaca in Venezia raggiunse livelli notevoli toccando le 600.000 libbre l'anno (300 kg. circa) nei periodi di maggior richiesta ma, anche in seguito, non fu mai minore alle 200.000 libbre l'anno. Solo una parte del prodotto serviva per il fabbisogno locale, mentre un'enorme quantità veniva esportata in Spagna, Francia, Germania, Grecia,Turchia, Armenia, sempre sigillata e accompagnata da documenti attestanti l'autenticità del prodotto e le modalità d'uso. Visto il grande commercio che se ne faceva, la Repubblica ebbe sempre il massimo interesse a mantenere alta la reputazione del farmaco – dei ricavi della cui vendita si arricchivano le casse dello stato – attraverso severi controlli sugli ingredienti e sull'esecuzione del preparato. Il Magistrato della Giustizia Vecchia effettuava ripetuti controlli nelle spezierie e nel caso trovasse preparazioni contraffatte o di scarsa qualità era autorizzato a gettare il tutto dal ponte di Rialto, interdicendo per sempre lo speziale ritenuto responsabile dall'esercizio della professione.

Per la stessa esigenza le autorità e i Collegi degli speziali istituirono un complesso rito pubblico per la preparazione della theriaca che garantisse il rispetto delle regole di composizione e della scelta degli ingredienti, allo scopo di creare una netta distinzione con gli intrugli che ciarlatani alla ricerca di facili guadagni erano pronti a vendere a ogni angolo. Una delle difficoltà maggiori da fronteggiare era il reperimento delle specie esatte delle piante citate nella teriaca di Andromaco, spesso introvabili al tempo e sostituite da altre non sempre ugualmente efficaci. Ulisse Aldovrandi (1522-1605), naturalista e botanico a capo del Protomedicato dell’Archiginnasio di Bologna – organismo che doveva regolare l’esercizio dell’arte dello speziale – di sua iniziativa modificò la formula di Galeno introducendo delle spezie diverse e, per quanto gli speziali avessero lasciato correre il fatto, non gli perdonarono le critiche sulla qualità delle vipere usate per i trochisci e insorsero contro di lui con un ricorso ai supremi tribunali: l’Aldrovandi fu privato della carica di protomedico ed espulso dal collegio per cinque anni. Per la sua reintegrazione occorse addirittura l’intervento di papa Gregorio XIII!

Nel suo antidotario Avertimenti nelle compositioni de' medicamenti per uso della Spetiaria..., nel capitolo riguardante la theriaca, Melichio si sofferma nella descrizione della cerimonia pubblica di preparazione che avveniva nel mese di maggio, quando gli ingredienti si trovavano al momento migliore di maturazione. Nella parte iniziale Melichio invita gli speziali ad attenersi con masssimo rispetto alla formula originale della theriaca e a guardarsi bene dalle contraffazioni operate per inseguire facili guadagni: la scelta delle spezierie triacanti veniva fatta anche sulla base delle qualità morali del proprietario.

Per tre giorni almeno le spezie dovevano essere esposte al pubblico, i rami legati da nastri di seta colorata, le vipere trattenute in gabbie di ferro – solo femmine non gravide, catturate nei Colli Eugani – i grandi mortai collocati all’esterno delle spezierie, pronti ad accogliere uno dopo l’altro miele, vino e tutti gli altri ingredienti, mentre le botteghe erano ornate a festa. La realizzazione materiale del composto era affidata all’opera di “facchini” vestiti in unformi e berretti piumati che avevano il compito di pestare gli elementi nei mortati di bronzo e di legno sotto lo sguardo scrutatore dei rappresentanti del governo e del collegio degli speziali, nonché del cassiere e di un notaio.

Dopo la lunga opera di amalgama la theriaca veniva lasciata a fermentare entro grandi giare che venivano sigillate alla presenza delle autorità: ricompensa per tutti alla fine della giornata era un vasetto dell’agognata miscela.

La commercializzazione del prodotto iniziava circa due mesi dopo quando, di nuovo sotto il controllo e su licenza delle autorità, venivano tolti i sigilli alle giare. Il controllo finale sulla qualità del composto veniva svolto con mezzi assolutamente empirici, facendo mordere un fagiano da un rettile velenoso così da verificare il livello di efficacia del rimedio che, secondo l’autorevole parere di Galeno, nei primi anni, quando la vis terapeutica delle sostanze era più attiva, doveva essere usato solo nei casi più critici, come appunto il morso di un animale velenoso. Dopo il sesto anno l’amalgama delle proprietà dei semplici raggiungeva l'optimum d’uso, ed era applicabile a quasi tutte le patologie contemplate dalla medicina del tempo. Ancora dopo trenta anni dalla composizione la miscela era considerata attiva e consigliata in casi di malessere più leggero. Allo stesso modo che a Venezia anche nelle altre città della theriaca la preparazione avveniva con rito pubblico: a Bologna nel cortile dell’Archiginnasio in un clima assai fastoso si teneva annualmente la festa della theriaca, descritta con dovizia di particolari nell’acquerello di Domenico Ramponi (vedi immagine) alla presenza di tutti i rappresentanti dei collegi di medici e speziali.

Ancora oggi passeggiando per Venezia il visitatore accorto può scorgere tracce di quel tempo e di quei cerimoniali. Le insegne di alcune delle storiche spezierie dedicate alla preparazione della theriaca penzolano ancora al di sopra delle entrate di moderne farmacie. I segni lasciati sulla pavimentazione dai pesanti mortai dell’antica farmacia Al cedro imperiale in Campo S. Stefano permangono, indelebili segni del fecondo e profondo legame con l’affascinante mondo della teriaca, impressi nella memoria storica di questa città per sempre.

Articolo di Annalisa Cantarini

In collaborazione con: www.abocamuseum.it