Una volta le mani di un pianista del quale non faremo il nome, sarebbero pettegolezzi non grati alla musa Euterpe, si abbatterono sui tasti come tempesta e lo strumento si ruppe. Lo racconta un altro pianista del quale non faremo il nome perché ama la discrezione. Il primo pianista ci rimase malissimo e al secondo pianista spunta il sorriso perché ormai il fatto è un aneddoto utile da raccontare: diverte e mette in soggezione il visitatore dell’Accademia Bartolomeo Cristofori che si sentirebbe un profanatore all’idea di sfiorare la collezione di strumenti antichi anche solo con lo svolazzare di un soprabito. Il fortepiano chiede il tocco leggero.

Nel quartiere di San Frediano, dove Firenze è ancora fiorentina, a pochi passi dall’Accademia, che è in via di Camaldoli al 7, il padovano Bartolomeo Cristofori, al servizio del principe Ferdinando de’ Medici, nel biennio 1698 /1700 ideò e costruì il primo fortepiano, strumento prediletto di Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert e Schumann, che fra il 1830 e il 1850 divenne il pianoforte, dal volume più alto. Le mani del primo pianista danneggiarono un fortepiano, non ferirebbero un pianoforte. "Con il fortepiano si ottiene un altro tipo di espressività che non è la forza" spiega il secondo pianista che ci guida nel mondo di sonorità dimenticate.

L’Accademia è nata nel 1989 grazie al musicista Stefano Fiuzzi, virtuoso del piano, interessato agli strumenti antichi e all’esecuzione filologica, lo scopo era quello di creare un centro, unico in Italia, dedicato al fortepiano. Dopo un anno impiegato a raccogliere e salvare dall’oblio e dall’abbandono strumenti di particolare interesse storico, e trovata una sede, provvista di un piccolo auditorium, l’Accademia ha cominciato a mostrarsi al mondo con concerti di Paul Badura-Skoda, Jorg Demus, Alexander Lonquich e altri celebri interpreti. Un concedersi con parsimonia, non per alterigia, al contrario: "Facciamo poca pubblicità. Il luogo è piccolo e preferiamo avere due sedie vuote invece di respingere gli appassionati".

Gli allievi di Fiuzzi fanno pratica sulle gloriose tastiere e questo contatto con gli strumenti di secoli fa imprime un messaggio stilistico indelebile: "Chi ha suonato qui non farà più un Beethoven fuori stile. E per chi ascolta succede una cosa diversa: la folgorazione arriva. Culturalmente è importante distinguere il fortepiano dal pianoforte: fino a pochi anni fa nei film, con l’eccezione di Luchino Visconti, sempre impeccabile, appariva un pianoforte moderno in un contesto settecentesco". Il nostro pianista in incognito è anche cinefilo e molto simpatico quando illustra le mirabilie del fortepiano: avvince con le sfumature di piano, pianissimo, mezzoforte e forte, stupisce con le turcherie e spiega che, specie in quelli costruiti nei primi trent’anni dell’Ottocento, è possibile mutare il timbro delle corde attraverso una serie di meccanismi comandati da pedali o ginocchiere, con effetti sonori particolarissimi e impossibili da trasferire su strumenti moderni.

Per questo i fortepiano, in legno senza rinforzi metallici con martelletti ricoperti di pelle, sono molto delicati e perfino un accordatore bravo potrebbe nuocere: Riccardo Frola è il solo accordatore che tocca i gioielli dell’Accademia, affidati alle cure di tre fate che li accudiscono: Donatella Degiampietro, Antonella Corti e Barbara Mingazzini che dentro l’Accademia hanno il Laboratorio di restauro del fortepiano al quale arrivano strumenti da tutto il mondo. Le fate sono approdate a San Frediano per vie diverse. Donatella ha lavorato con un bravissimo costruttore di pianoforti, Andrea Dori e ne ha proseguito il magistero, poi è stata sei anni negli Stati Uniti a occuparsi delle collezioni dello Smithsonian e del Metropolitan, Antonella si è formata alla scuola di restauro di Palazzo Spinelli, Barbara ha cominciato con il padre che vendeva pianoforti. Sono eccelse e, da quando hanno visto arrivare un ometto su un’Ape piena di pezzi di legno che furono un piano o uno strumento prezioso e perfetto che dentro era stato vuotato e conteneva un amplificatore, sono pronte a ridare il suono a tutto.

Credit Guido Cozzi / Altantide Phototravel