È un figlio del vento il musicista croato Aco Bocina la cui musica spazia “dai Balcani all’Andalusia, dall’Oriente alla Grecia. Una crociera musicale sulle rive del Mediterraneo, seguendo antiche vie tracciate dai gitani”.

Questo è il concerto che porta in giro accompagnato dalle danzatrici Aysha e Le Figlie di Ra che lo vedrà impegnato nella capitale il 18 maggio prossimo (ore 21,00 al Teatro San Raffaele di Roma – ricavato in beneficenza per il Centro Aiuti Etiopia). Si tratta di una personalità poliedrica, appassionata, cosmopolita, amante dell’arte, della bellezza e del mistero e soprattutto del viaggio, come si intuisce dall’intervista che ci ha gentilmente concesso.

Che lingua parla il tuo mandolino Aco, quella delle tue radici croate o è stato contaminato da altre culture?

Il mio mandolino parla la lingua mediterranea, la lingua di tutte le culture mediterranee. Esistono una grande varietà di etnie e culture diverse nel mio Paese, le ho respirate fin da bambino, le ho raccolte e messe nello strumento, nella chitarra, nel mandolino. Si trattava di musica popolare ed etnica, ma grazie alla base di musica classica e alla mia apertura anche al repertorio moderno, ho potuto creare un nuovo genere: sono il fondatore della Mediterranean World Music.

Quando suoni la chitarra o il mandolino è come se ci fosse un rapporto intimo con lo strumento, una storia d’amore e di passione, iniziata quando?

Fin da piccolo ero affascinato dalla chitarra, potevo avere 5 anni, ma certo era troppo presto. Poi a 9 anni ho frequentato la scuola di musica. Ero diviso tra l’amore per la musica e quello per il calcio, ma alla fine ho scelto la musica, davvero senza rimpianti. Il mandolino l’ho scoperto solo a 17 anni, l’ho studiato da autodidatta. È vero, componevo dei brani per mandolino e chitarra già prima, anche se non sapevo ancora suonare il mandolino. A 17 anni era già tardi per iniziare con un nuovo strumento, però… non me lo so spiegare… sentivo dentro di me che il mandolino poteva dare molto di più della chitarra. E così iniziai a riprodurre tutto ciò che avevo scritto per quello strumento. È stato davvero il grande amore della mia vita, è uno strumento tutto da scoprire, è solido e di gran valore come il violino, ha un suono armonioso che consente di esprimere sia struggimento che allegria. Oggi sono considerato il più grande mandolino del mondo, ho vinto il Primo Premio al “Walnut Valley Mandolin Championship”, durante il “Walnut Valley Festival” che si svolge annualmente in Kansas (USA).

Quale situazione, affetto, accadimento ha fatto nascere l’esigenza di suonare?

La passione per la musica è stata favorita da mia mamma. Lei suonava la fisarmonica, ha compreso subito le mie attitudini e mi ha insegnato ad applicarmi con disciplina. È stata importantissima per la mia carriera, mi ha sempre sostenuto, ha creduto in me nei momenti cruciali e quando a 17 anni ho scoperto il mandolino, ha facilitato la mia scelta di diventare concertista. Certo non sapevo dove sarei arrivato, ma mi rendevo conto che quello era il mio futuro. Non è facile suonare il mandolino, non so come mai mi sono sentito questa voglia di farlo…

Se tu credessi nella reincarnazione, si potrebbe dire che lo hai già suonato in qualche vita passata…

Chissà… non è un’ipotesi totalmente da escludere…

Quando si sente la tua musica si è colti da un irrefrenabile desiderio di ballare, come se la danza delle dita sulle corde dello strumento stimolasse il bisogno di movimento. Hai questa consapevolezza?

Giustissimo! Tante persone che hanno partecipato ai miei concerti mi hanno detto le stesse cose, sentivano un forte impulso di ballare, ma in teatro non si poteva…

Quando ti abbandoni alla chitarra sei più interessato ad affidarti alla tua essenza o ad entrare in contatto empatico con lo spettatore?

Per me lo spettatore è fondamentale, è lui che mi guida, che mi consente di costruire lo spettacolo. Io non faccio una scaletta, sento cosa vuole la gente e interagisco con l’energia del palco, il cuore dello spettatore che batte, preferisco improvvisare quello che suggerisce il pubblico davanti a me…

Se improvvisamente ti trovassi costretto a buttare da una torre la chitarra o il mandolino, ti potresti disfare di uno dei due? Se sì, quale dei due salveresti e perché?

Guarda non vorrei buttare davvero nessuno dei due strumenti, ma certo tra i due il mandolino è “intoccabile”, piuttosto cado io. Il mandolino è realmente l’amore della mia vita, più importante di qualunque donna, lo amo con tutto me stesso, anzi, è il prolungamento di me stesso. Mi appartiene intimamente…

La tua vita è caratterizzata dal viaggio, ti si potrebbe definire un ulisside affetto da nomadismo. Il tuo pezzo Alegria gitana e ancor più quelli realizzati con le Fanfare Ciocarlia mi fanno pensare ai film di Emir Kusturica come Il tempo dei gitani o Underground, qual è stato il tempo della tua cultura Romanés?

Questo è un dono della mia terra, il nomadismo, la musica gitana: sono suoni che mi hanno accompagnato fin da bimbo, soprattutto in Serbia, si sentiva in tutti i locali dove si mangiava e beveva, durante i matrimoni, era insita nella cultura della ex-Jugoslavia…

Quando compi il tuo viaggio estatico musicale con i capelli al vento in quale spazio-tempo ti trasferisci?

Io dovevo di certo nascere nel 1700, mi piace intensamente quell’epoca: c’è stato un periodo di 2 o 3 anni che facevo i concerti indossando i costumi di quell’epoca, mi avevano regalato il costume, le scarpe, ero così felice di possederli, ora purtroppo quegli abiti non mi entrano più…E poi il luogo è certo situato tra Venezia e Vienna…

Forse ti stai ricordando in quale altra vita tu suonavi il mandolino, quindi nel 1700 tra Venezia e Vienna…

Non ci avevo pensato, ma potresti aver ragione…

So che hai un figlio di undici anni – alla sua età avevi già impugnato lo strumento – come lo hai influenzato riguardo alla musica? Come è stata la tua esperienza alla sua età? E quale impatto ha avuto il diverso contesto storico-ambientale in cui vi siete formati?

Quando era piccolo, stavo sempre con mio figlio Ivan, gli facevo sentire la musica dalla mattina alla sera, che fosse musica classica, etnica, gitana, roch, era tutta roba di qualità e per lui ora è normalissimo stare insieme alla musica. Io mi sono formato con la musica classica e lo stesso ha fatto lui. La musica classica è la base che consente di fare qualunque altro genere. Solo dopo mi sono dedicato alla musica mediterranea, un mondo magico tutto da scoprire. Ivan ha iniziato a studiare pianoforte a 4 anni e mezzo, è in vantaggio rispetto a me. Dopo una base di musica classica solida potrà decidere a quale genere musicale dedicarsi. In questo senso l’impatto del contesto storico-ambientale in cui ci siamo formati è ininfluente, almeno per ora, poi potrebbe influire sulle sue scelte future come ha influito su di me la musica mediterranea…

In alcuni tuoi brani, come per esempio Dirli dirli, non ti limiti a suonare ma usi anche lo strumento della voce, quali sono i temi delle tue canzoni?

Mi piace cantare perché è bello, ma io sono uno strumentista virtuoso, non un cantante, il mio manager mi ha chiesto di cantare, di fare un provino ed è piaciuto il timbro della mia voce, ma non si tratta di testi veri e propri, sono parole di allegria, invito una ragazza a ballare con me, cose di questo genere… Dirli Dirli è dedicato a mia madre, è come dire che voglio suonare un pezzo e cantare per lei e dirli dirli si dice per dire “allegria, vogliamo suonare, ballare, divertirci” come si fa in una festa popolare, come accadeva anche in Italia circa 50-60 anni fa, ai tempi in cui a Napoli il mandolino era appeso e sempre pronto all’uso e anche il barbiere lo sapeva suonare. Il mandolino non è una cosa nuova, anche a Spalato come in Italia si facevano le serenate. Io sono andato decisamente alla grande...

Insomma la musica ti ha aiutato in ogni campo della vita…

Grazie alla musica ho avuto tantissimo, sono stato e sono un privilegiato, la musica è una medicina fantastica, insieme a lei una persona non si sente mai sola. Se in tutti gli ospedali i pazienti ascoltassero musica starebbero molto meglio. L’ho insegnata ai ragazzi, dalla materna all’università. La chitarra è stata il mio primo amore, con il mandolino sono un artista raro, la chitarra ti consente di spaziare, è molto sexy come strumento ed è più famosa del mandolino. Io inizio sempre con la chitarra e poi sorprendo con il mandolino…

A quale pezzo sei più affezionato o canti più volentieri?

Improvvisation n. 1, il primo pezzo dedicato a mia madre, scritto intorno ai 16 anni. Ho iniziato a scrivere musica a 10 anni… Si tratta di un pezzo legato al mio cuore, sia come persona che come artista, provo sempre un piacere immenso a suonarlo anche perché amo mia madre e l’amerò sempre, una vera madre che ha saputo indirizzarmi e che è felicissima che io sia diventato un musicista.

Come sei entrato in contatto con le Fanfare Ciocarlia di Bucarest? E cosa ha significato questa esperienza nel tuo cammino artistico?

È stata un’idea del mio produttore che mi ha chiesto se potevo fare della musica tipo Bregovic. Si è messo in contatto con le Fanfare Ciocarlia di Bucarest e abbiamo registrato insieme 5/6 brani per il mio album. Abbiamo registrato con loro a Bucarest mentre la parte della chitarra è stata registrata a Milano. È stata davvero una meravigliosa esperienza per me e per loro. Non siamo ancora riusciti a fare musica live ma sono certo che prima o poi suoneremo insieme anche dal vivo…

Sono ormai ventiquattro anni che abiti in Italia, a Milano. Perché hai “adottato” questa patria? Cosa ti ha affascinato e cosa invece più ti disturba del popolo italiano?

Sono giunto a Milano la prima volta nel 1984, solo per sei mesi… poi sono tornato qualche tempo dopo e non me ne sono più andato… L’Italia è un Paese che mi affascina, sia per le bellezze naturali, sia per il patrimonio culturale e artistico, sia per il buon cibo. È la mia seconda patria, mi sento a casa al cento per cento. Non ho mai avuto problemi, mi sono sempre inserito bene e ho un sacco di amici che mi stimano. Io poi non guardo mai la nazionalità della gente, ma la persona stessa. L’Italia mi ha dato tanto e io spero di aver dato tanto a lei. Gli italiani per me sono fratelli e sorelle, mi dispiace solo per la crisi politico-economica che la sta attraversando ma sono certo che si riprenderà…

Sei diventato stanziale o ti aspettano altri infiniti viaggi? Quali?

Tutti quelli possibili, non mi fermerò mai. Prevedo una tournée in Nord Europa a partire dalla Scandinavia e poi Svezia, Danimarca, Norvegia e ancora Germania, Olanda, Inghilterra per giungere agli Stati Uniti e in tutto il mondo. Mi piace la dimensione internazionale, allargarmi senza limiti…

A quale progetto ti stai dedicando in questo momento?

In questo momento ho deciso di dedicarmi solo ai concerti, i cd non si vendono, ma in ogni caso il contatto con il pubblico mi ripaga molto di più…

Qual è il tuo sogno nel cassetto per il futuro?

Fare un disco con l’Orchestra Filarmonica, con 90 strumenti e io in mezzo insieme al Direttore d’Orchestra, un tour mondiale che si concluda alla Scala di Milano, il sogno di ogni artista…

Grazie Aco per il tempo e la disponibilità che hai concesso a Wall Street Internazional Magazine, ma soprattutto grazie per la magia che nasce da chi, come te, crede ancora, per dirla con Sepulveda, al Potere dei Sogni…