Avete mai sentito parlare della sindrome metabolica? Si tratta di un insieme di segni e sintomi i quali, pur non rappresentando uno specifico quadro patologico in sé, predispongono alle cosiddette malattie del progresso (obesità, diabete di tipo 2, ipertensione, infarto, ictus, m. di Alzheimer, alcuni tumori, etc.).

Una sindrome metabolica si diagnostica in presenza di due (o più) dei seguenti valori:
• Glicemia > 110 mg./dl.
• Insulina > 10 mU/ml.
• Trigliceridi > 150 mg./dl.
• Colesterolo HDL • Circonferenza addominale > 101.6 cm (88,9 se femmina)
• Pressione arteriosa > 85-130 mm Hg.

E, in un prossimo futuro, verrà probabilmente inserito anche il parametro: Uricemia > 5.0 mg/dl. Si è visto infatti che un valore di Uricemia superiore a questo predispone allo sviluppo di malattie metaboliche. Nei paesi industrializzati, la sindrome metabolica ha attualmente una prevalenza che va dal 27 al 35% della popolazione adulta e si correla direttamente alla prevalenza di diabete e obesità ed indirettamente a tutte le malattie che da queste discendono. Per la specie umana, dunque, la sindrome metabolica rappresenta attualmente la via di accesso alle principali cause di malattia e di morte precoce. Quasi nessuno sa – però - che la sindrome metabolica non è una prerogativa esclusiva della specie umana, ma che essa è presente in moltissime altre specie animali. La principale differenza è rappresentata da un unico ma non trascurabile fattore. Mentre in tutte le altre specie la sindrome metabolica rappresenta un efficace meccanismo adattativo che permette all’animale di vivere più a lungo, o di sopravvivere in condizioni estreme, la nostra è l’unica specie in cui essa diviene causa di morte. Vediamo di capire il perché di questa curiosa anomalia.

Vi siete mai chiesti perché nei mesi estivi ed autunnali gli orsi bruni si aggirino per le valli alpine facendo razzia di frutta matura e miele? Vi siete mai chiesti come facciano le oche grigie a trovare le energie per volare (a stomaco vuoto) per circa 3000 miglia nel corso delle loro migrazioni annuali? O come facciano le balene di Minke a nuotare (digiunando) per circa 5000 miglia marine quando si trasferiscono dall’Antartide alla Baia del Messico durante la stagione degli accoppiamenti? Sapevate che durante la cova delle uova un pinguino maschio è capace di non consumare cibo per circa due mesi? Potrei continuare a lungo e citarvi molti altri animali quali locuste, rane, scoiattoli, marmotte, colibrì, ed altri ancora, tutti capaci di miracoli di questo genere. Se volete sapere qual è il loro segreto, la risposta è semplicissima. Prima di compiere queste imprese che mettono a rischio la loro sopravvivenza (ibernazioni, estivazioni, migrazioni, etc.) tutti questi animali sviluppano una sindrome metabolica. Assolutamente uguale a quella che conosciamo nell’uomo.

Perché? Per il semplice motivo che riempirsi il sangue di glucosio e trigliceridi ed aumentare di peso (questi sono infatti gli effetti della sindrome metabolica) è l’unico modo che in natura si conosce per sopravvivere a grandi fatiche fisiche, o a periodi di scarsità di cibo. In altre parole in natura è noto che uno stato pre-diabetico è in realtà un efficacissimo metodo di sopravvivenza da utilizzarsi con parsimonia in situazioni estreme e tutte queste specie animali hanno – proprio come l’uomo – un interruttore metabolico che, quando viene attivato, li mette in grado di sviluppare questa sindrome.

Attivare questo interruttore è facile, basta far sì che l’acido urico contenuto all’interno delle cellule aumenti al di sopra di un certo livello critico, oltre il quale il corpo si predispone ad uno stato congiunto di insulino-resistenza e di leptino-resistenza i quali inducono una condizione di pre-diabete e portano all’aumento di peso. In altre parole quando questo interruttore viene attivato il corpo si predispone ad una modalità di emergenza e si prepara ad affrontarla come meglio può. Aumentare il livello di acido urico è semplicissimo, basta ingozzarsi letteralmente di cibi ricchi di fruttosio (frutta matura, miele e nettare di fiori), o di cibi ricchi di purine ed RNA (quali: acciughe, alici, aringhe, sgombri, piccoli crostacei, animelle, fegato, cervello, etc.). Esattamente come fanno questi animali. Nel caso degli animali però, questo stato metabolico scatenato dall’iper-uricemia è sempre transitorio; si alterna cioè a momenti di digiuno, o di grande sforzo fisico che permettono di resettare il metabolismo ripristinandone così la normale funzionalità. Se infatti andiamo ad analizzare il sangue di questi animali dopo la fine delle loro imprese, vediamo che tutti i parametri che prima erano alterati sono improvvisamente tornati ai livelli di norma.

Questo ci spiega anche perché – viceversa – nella specie umana succeda il contrario. Anche l’uomo ha la capacità di utilizzare lo stesso meccanismo metabolico degli altri animali e l’interruttore che lo attiva è esattamente lo stesso. Anche l’uomo ha imparato ad abbuffarsi di cibi ricchi di fruttosio (nel suo caso: succhi di frutta, zuccheri di qualsiasi tipo, miele, sciroppi di glucosio e fruttosio, sciroppo di mais, sciroppo di acero, etc.) e di RNA e purine (si pensi alla birra, che è l’alimento che più di ogni altro contiene RNA). Il problema è che a differenza degli altri animali l’uomo si alimenta in questo modo per tutto l’anno, senza mai fare digiuni, né grandi sforzi fisici e così questo interruttore rimane attivato in maniera permanente e dopo un po’ diviene fonte di patologia esplicita. Facile da capirsi, non è vero? E facile anche da dimostrarsi.

Se infatti somministriamo per qualche settimana ad un gruppo sperimentale di giovani sani una soluzione di fruttosio al 10% in aggiunta alla loro normale dieta, siamo in grado di ottenere lo sviluppo di una sindrome metabolica in piena regola. Non appena però sospendiamo tale somministrazione (o se aggiungiamo un inibitore della sintesi di acido urico), ecco che il metabolismo nel giro di un paio di settimane si resetta e, come per miracolo, tutto torna alla normalità. Fantastico, non è vero? E’ anche strano che la maggior parte dei medici e dei ricercatori non si siano mai resi conto di tutto ciò. Curioso, che nessun veterinario abbia mai suggerito ad un medico questa similarità. Anche se in tempi recentissimi nei nostri Dipartimenti di ricerca universitari stiamo correndo ai ripari e cercando di utilizzare farmaci inibitori dell’acido urico, o del metabolismo del fruttosio (non ancora in commercio) per combattere la sindrome metabolica, la maggior parte dei medici attualmente si limita in questi casi a prescrivere farmaci che abbassano i lipidi plasmatici oppure farmaci antiinfiammatori ed inibitori della coagulazione i quali - è ben noto - non risolvono il problema e portano con sé una serie di ulteriori effetti collaterali tra cui – paradossalmente – anche l’aumento dei livelli di acido urico.

In altre parole farmaci che, mentre sembrano migliorare la situazione a valle, la complicano in realtà a monte. D’altra parte, se pensiamo che dietro questi argomenti (la vendita di cibi addizionati di zuccheri e la vendita di farmaci per la terapia delle malattie metaboliche e cardiovascolari) scorrono letteralmente fiumi di denaro non è affatto strano che nessuno si sia fino ad ora affannato a spiegare alla gente cosa bisognerebbe fare per prevenire o trattare in maniera naturale queste patologie. Proprio come fanno tutti gli altri animali del pianeta, i quali senza bisogno di ricorrere al consiglio di nutrizionisti o a medicine sanno perfettamente come resettare il proprio metabolismo, quando l’emergenza è finita e utilizzano così il meccanismo della sindrome metabolica in maniera adattativa anziché farsene una malattia.